by Sergio Segio | 19 Maggio 2011 6:18
Un provvedimento varato in tutta fretta dal governo Prodi proprio sull’onda emotiva generata da pochi documenti allegati all’arresto, il 20 settembre, di Tavaroli e del suo investigatore privato di fiducia Emanuele Cipriani e da notizie di fantomatiche intercettazioni illegali. La Corte— presidente Piero Gamacchio, giudice Ilaria Simi— con un’ordinanza di 15 pagine e dopo 4 ore di camera di consiglio accoglie per intero le richieste del sostituto procuratore Nicola Piacente e rigetta una lunga serie di eccezioni e di richieste delle difese, come quella di distruggere i fascicoli oppure nuovi ricorsi alla Corte costituzionale. Eppure era stato lo stesso pubblico ministero a chiedere, prima del processo, di eliminare quei dossier proprio in base alla «volontà del legislatore storico» del 2006 e alla decisione 2009 della Consulta sulla stessa materia. A dicembre scorso, però, il giudice per le indagini preliminari Giuseppe Gennari gli aveva risposto di no sostenendo che una «eventuale insipienza legislativa» non possa «orientare l’interpretazione» di una norma varata sulla base di «incontrollate e non veritiere notizie di stampa» su «centinaia, se non migliaia, di intercettazioni illegali» . I dossier, entrati quindi nel processo, sono ora da considerare a tutti gli effetti «corpo di reato» , scrivono i giudici riportando le affermazioni di Piacente che, dopo il no del gip Gennari, ha deciso di seguire la nuova strada. Quei fascicoli, illecitamente formati dalle divisioni Security di Telecom e Pirelli nell’era 2001/2006 di Giuliano Tavaroli — che ha patteggiato 4 anni e 2 mesi di reclusione — sono stati creati anche «attraverso la divulgazione di segreti d’ufficio e l’illecita acquisizione di informazioni dalla banca dati del ministero degli Interni» . Si tratta di migliaia di report che riguardano 4.287 persone fisiche e 132 società . Tra le «vittime» compaiono Carlo De Benedetti e suo figlio Marco, l’ex ad di Rcs Vittorio Colao, il vicedirettore del Corriere della Sera Massimo Mucchetti, la Rcs, la Kroll, i concorrenti Vodafone, Fastweb, H3G, funzionari del Garante Antitrust, il sindaco di Telecom per i soci di minoranza Rosalba Casiraghi, ma anche politici come Lorenzo Cesa o Aldo Brancher, il banchiere Cesare Geronzi, manager come Enrico Bondi, finanzieri come Al Walid, sportivi come Bobo Vieri e Luciano Moggi. C’è poi il famoso dossier «Oak Fund» su presunte disponibilità all’estero dei Ds. Rispondendo a un difensore che ha chiesto di nuovo la distruzione, i giudici scrivono che la materia su come trattare questi atti è caratterizzata da un «ingarbugliato intreccio di norme giuridiche e di principi di diritto» dal quale, però, emerge con chiarezza che l’unico giudice che può decidere sulla sorte di quei fascicoli riservati è il gip cui è riservata la «competenza funzionale» e la cui decisione, tra l’altro, «non è impugnabile» . La Corte, però, non mette i fascicoli immediatamente a disposizione delle difese dei 12 imputati e delle parti civili, che comunque hanno avuto modo di «prendere conoscenza della documentazione» durante il procedimento di fronte al giudice Gennari. Come e quando i delicati dossier potranno essere consultati sarà deciso nel contraddittorio tra le parti dalla prossima udienza dell’ 8 giugno. Fino ad allora sarà vietato qualsiasi accesso e i fascicoli resteranno chiusi in cassaforte.
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