by Editore | 19 Maggio 2011 7:13
Il trattamento inflitto a DSK dalla giustizia americana, dalla nostra idea di trasparenza, dal regno dell’immagine e dalle nuove norme che regolano il nostro mestiere, è spaventoso. Abbiamo assistito all’allestimento mediatico di una condanna a morte. Come in una corrida, dove il toro è destinato a morire, ma in questo caso nessun torero ha corso dei rischi. Strauss-Kahn è apparso come un toro ferito, che poggia un ginocchio a terra in attesa dell’ultima stoccata.
Perché questa trasmissione pubblica del suo calvario? In nome dell’uguaglianza! In nome della trasparenza! Ecco in che modo si sconvolgono, s’infangano e si disonorano dei principi che pure hanno avuto una propria nobiltà . L’uguaglianza? Tutti i protagonisti di questa cerimonia sapevano che Strauss-Kahn non era un uomo come gli altri e non sarebbe mai stato trattato con equanimità dalla muta di giornalisti, fotografi e cameraman che lo aspettavano. Si è trattato, semmai, di un’ineguaglianza organizzata e applicata.
La trasparenza? Ma quale trasparenza! Si è forse mai sentito di un giudice qualsiasi che fornisce i particolari dei capi d’accusa? Tutti i particolari, e tutte le prove? È proprio questa la presunzione di innocenza: se rinunciamo a presumere innocente un accusato, dobbiamo giustificare tale rinuncia spiegando quali sono le prove sulle quali ci basiamo. È essenziale.
Sino a ora però non ci è stata presentata alcuna prova: ci è semplicemente stato detto che se Dominique Strauss Kahn rimarrà in carcere «non è perché non ha fatto nulla». Un ragionamento sorprendente, che equivale a dire «non c’è fumo senza arrosto», oppure: «Credete forse che i giudici, che rappresentano il popolo americano, spedirebbero in una galera di ergastolani uno dei più alti funzionari internazionali senza sapere cosa fanno?». Perché questi uomini responsabili della condanna a morte di DSK sono dei rappresentanti del popolo. Al pari dei senatori, o dei membri del Congresso.
Supponiamo che Strauss-Kahn abbia fatto ciò di cui è accusato dalla cameriera. In quel caso la vittima sarebbe lei. Questo articolo non si prefigge di scagionare un colpevole e calpestare un’innocente. Supponiamo che il giudice americano pensi di avere ottimi motivi per prolungare la detenzione di un presunto innocente e offrire alla folla lo spettacolo di un uomo votato a una sorta di linciaggio mediatico. Le nostre argomentazioni non cambierebbero: la presunzione di innocenza è stata inventata per evitare il linciaggio e la vendetta popolare, e ciò non significa che debba in alcun modo rappresentare un vantaggio per l’eventuale vittima. E anche se le prove della colpevolezza di Dominique Strauss-Kahn dovessero emergere, questo non giustificherebbe i vizi di procedura e l’essere venuti meno ai principi.
L’anno scorso ebbi l’impressione che tra noi e il popolo americano si stesse aprendo una voragine. Ho addirittura pensato che non appartenessimo nemmeno alla medesima civiltà . Adesso, mentre scrivo, vedo che alcune voci autorevoli si sono levate per esprimere un punto di vista molto vicino al nostro. Sarebbe un immenso sollievo se queste riuscissero ad affermarsi sull’isterismo della maggioranza dei commenti.
(copyright Le Nouvel Observateur – traduzione di Marzia Porta)
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