by Editore | 20 Maggio 2011 6:33
NEW YORK -Dominique Strauss-Kahn si è dimesso ieri da direttore generale del Fondo monetario aprendo le grandi manovre per la successione. E l’Europa è stata subito costretta a giocare in difesa. Sulle macerie del “disastro Dsk” infatti rispunta l’incubo del G2, un direttorio sino-americano. Spianerebbe la strada a un leader scelto dalle nazioni emergenti, togliendo per la prima volta all’Europa la guida del Fmi dalla nascita dell’istituzione.
La convergenza tra le due superpotenze è notevole. Prima la Cina ha chiesto una selezione del nuovo direttore «trasparente, basata sul merito, aperta a tutti». Subito dopo è sceso in campo il segretario al Tesoro Usa, Tim Geithner. Sua è stata la spallata decisiva per costringere Dsk a dimettersi; seguita da una dichiarazione che riecheggia quella cinese: «Ci vuole una selezione aperta». Ovvero: non più riservata a un europeo come da tradizione. Geithner ha però aggiunto l’auspicio che la scelta sia “veloce”. Dato che i paesi emergenti non hanno presentato subito un candidato unico, questo può spianare la strada a un compromesso gradito sia a Washington che a Pechino: via libera subito al candidato europeo, con ogni probabilità Christine Lagarde, ma non per un mandato pieno. La francese che guida il dicastero economico subentrerebbe a Dsk solo per completare il suo mandato che sarebbe scaduto nell’ottobre 2012. Poi scatterebbe la staffetta con un leader delle nazioni emergenti, asiatico o latinoamericano.
La convergenza Usa-Cina allarma gli europei e ha messo in moto il frenetico attivismo diplomatico di Nicolas Sarkozy. La settimana prossima la Francia presiede il vertice G8 a Deauville. Entro quella scadenza, con Barack Obama sul suolo francese, Sarkozy deve cercare di “blindare” la nomina. Guai a rinviare, si darebbe agli emergenti più spazio per coalizzarsi su una candidatura alternativa. Perciò Sarkozy ha telefonato ad Angela Merkel che gli ha assicurato il suo sostegno: «Dobbiamo fare in fretta – ha detto la cancelliera – e dobbiamo proporre un europeo». Silvio Berlusconi si è allineato, oggi Sarkozy spera di incassare l’appoggio di David Cameron. Bruxelles si è schierata con il commissario economico Olli Rehn: «Nella congiuntura attuale è un merito se la persona prescelta ha una solida conoscenza dell’economia europea e delle decisioni da prendere». Quel pudico accenno alle “decisioni da prendere” va tradotto in “crisi greca”. Per l’Unione europea farsi sfilare la guida del Fmi sarebbe un doppio danno. Prima sul piano simbolico, perché consacrerebbe l’emarginazione del Vecchio continente rispetto alle nuove potenze del mondo che cresce. Poi, sul piano materiale e immediato, un direttore generale espresso dall’Asia o dall’America latina potrebbe essere più duro con la Grecia, il Portogallo, l’Irlanda, e quant’altri rischiano di finire sull’orlo della bancarotta sovrana. Le nazioni emergenti ricordano che quando gli Stati insolventi erano fra loro (dalla Thailandia al Messico) la “medicina” del Fondo fu spesso somministrata in modo più severo.
L’offensiva della Cina dopo la caduta di Dsk è potente. Due interventi in due giorni successivi, sono giunti da Pechino prima ancora che Dsk scrivesse la lettera di dimissioni “dettata” da Geithner. Martedì il ministero degli Esteri cinese ha dichiarato: «Le nazioni emergenti devono essere rappresentate ai massimi livelli». Ieri il governatore della banca centrale, Zhou Xiaochuan: «Il vertice del Fmi deve riflettere i cambiamenti avvenuti nell’economia globale». Non è detto che Pechino punti su un suo candidato, anche se aveva già piazzato ai fianchi di Dsk l’autorevole ex banchiere centrale Zhu Min. Alla Cina può bastare un altro candidato dei paesi emergenti, conquistandosi il ruolo di leader dello schieramento dei Brics (Brasile Russia India Cina Sudafrica) ed altri. Politicamente è già una manovra premiante: un coro dalle nazioni emergenti si è unito alla richiesta cinese. Forti del rimescolamento dei diritti di voto – avendo aumentato il loro peso nel Fondo – gli emergenti pretendono che l’importante istituzione smetta di essere un “club di occidentali”. Il ministro brasiliano dell’Economia, Guido Mantega, dice che «deve valere la meritocrazia, non il passaporto europeo». Tra i candidati forti c’è il turco Kemal Dervis, che da ministro delle Finanze gestì il “miracolo del Bosforo”: la Turchia passò dalla grave crisi finanziaria del 2001 al boom economico di oggi. Anche India, Corea del Sud, Singapore, hanno tecnocrati di alto livello.
Per la verità nessuno contesta le competenze di Christine Lagarde. Per gli americani è “una di casa”: da grande avvocatessa d’affari presso lo studio legale Baker & McKenzie di Chicago, ha trascorso 25 anni della sua carriera negli Stati Uniti, il suo inglese ha uno spiccato accento yankee. Il fatto che sia una donna non guasta, viste le circostanze della caduta di Dsk. Unico neo: un’inchiesta giudiziaria per sospetto abuso di potere, su un finanziamento all’affarista Bernard Tapie. La vera incognita è l’asse Usa-Cina. Guarda caso, quei due hanno smesso di litigare sulla rivalutazione del renminbi. E’ sempre meno un problema, da quando l’inflazione rosicchia la competitività cinese, e l’export made in Usa tira grazie al dollaro debole.
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