Shopping center pieni, file agli autosaloni il nuovo miracolo tedesco trascina anche l’Est

by Editore | 14 Maggio 2011 7:16

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BERLINO – I grandi shopping centers sulla Schloss strasse a Berlino Ovest, o alle porte di Potsdam (ex Ddr) che fu la Versailles prussiana, sono affollati quasi come il Tube di Londra alle ore di punta: la gente compra, non ha più paura di spendere. Nelle agenzie immobiliari o negli autosaloni Volkswagen, Bmw e Mercedes rivivi la stessa esperienza. Nei grandi aeroporti, da Monaco a Francoforte, Boeing e Airbus di Lufthansa o Air Berlin già  volano pieni verso i mari caldi, e i turisti in partenza si mischiano agli uomini d’affari in arrivo da Varsavia, Praga, Bratislava o Budapest. Germania, tarda primavera 2011: la domanda interna, e il nuovo nucleo duro economico con il centro-est, hanno messo il turbo alla locomotiva. I dati trimestrali di ieri fanno impressione: crescita all’1,5 per cento trimestrale, quasi il 5 per cento su base annua. E va benissimo anche per i vicini, a cominciare dai polacchi: l’est disprezzato fino a ieri da noi altezzosi mediterranei come terra di lavavetri e di abusivi ci sorpassa alla grande, si aggancia fiero e politicamente stabile alla “Merkel-Republik”. 
L’odore di grande boom qui lo incontri a ogni angolo. Nelle auto nuove in strada, o nell’ottimismo della gente: nei negozi o nel metrò, vedi più volti sorridenti: la faccia cupa e annoiata non distingue più i tedeschi. Lo noti nelle chiacchierate serali, in salotti e terrazze degli amici borghesi, e nei piccoli appartamentini o casette a schiera delle famiglie operaie: la paura di perdere l’impiego, o di cadere nel precario dopo la laurea, non sono più tema. Comprano, spendono senza timore, i nuovi ‘cittadini federali’. Per la prima volta nella Storia del paese, qui dove la gente preferisce la mobilità  per cambiar lavoro al mattone sicuro, i proprietari d’immobili hanno di poco sorpassato gli inquilini. 
«Mai, dopo la costosissima riunificazione, ci saremmo aspettati tanto», mi dice Michael, il medico di famiglia, “Wessi” (tedesco dell’ovest) benestante. Ristrutturazione della casa, belle vacanze, corsi nel Regno Unito per i figli, adesso sono spese affrontabili insieme. «Non ho più paura di vivere di sussidi», mi confessa Juergen, contabile a Berlino Est. Cerca già  con ottimismo l’università  per l’unica figlia. Dopo anni di borsa stretta (e conti pubblici risanati) è cambiata l’atmosfera, l’umore della gente. E nessuno mugugna se il boom delle entrate tributarie (135 miliardi oltre il previsto) non piega il governo alla tentazione di promettere sgravi fiscali.
Se dalla porta accanto passi al macroeconomico, l’impressione d’un nuovo miracolo tedesco non è meno forte. Alla concessionaria dove porto la vecchia, infaticabile station wagon teutonica al tagliando, i tempi d’attesa di chi acquista auto nuove si sono allungate: tira più che mai la domanda interna, alle linee di montaggio l’orario corto è memoria lontana, la produzione si affanna con gli straordinari a rincorrere la clientela. Vendite qui, non più solo export. «E la ripresa non è più solo auto», avvertono al ministero dell’Economia, appena passato sotto la guida d’un giovane orfano di guerra vietnamita adottato da un ufficiale, Philipp Roesler: in ogni comparto, dai macchinari all’aerospaziale, dall’elettronica alle biotecnologie, volano gli investimenti. Per la domanda interna più che per l’export. Anni di moderazione salariale, aumenti di produttività  concordati nella concertazione, danno i loro frutti. Adesso i big dell’industria, da Bmw a Mercedes, da Siemens a Sap, notano anche i sindacalisti, assumono e concedono aumenti. 
«La Germania è il motore di crescita del mondo industriale, non solo dell’Europa», dice Roesler col suo gentile sorriso asiatico. A Francoforte, la Borsa gli dà  ragione: i solidi rialzi dell’indice Dax contrastano con le turbolenze altrui, da Wall Street a Milano. Non spaventa nemmeno l’addio accelerato all’atomo civile, deciso “col cuore e con la mente” dalla cancelliera dopo Fukushima: anche l’ambiente può generare utili. Parola di Volkswagen, che da ieri è il primo gruppo dell’auto a investire miliardi nell’energia eolica, non certo per filantropia o simpatia per i Verdi.
«Così siamo tornati al di sopra dei livelli di Pil di prima del 2009», notava ieri Spiegel online. «Siamo usciti al meglio dalla crisi, il nostro interesse ovvio è che ne escano anche gli altri in Europa», ha sottolineato Angela Merkel incontrando l’altro giorno i corrispondenti esteri. Ma nella Ue a 27, c’è chi sa farcela meglio di altri. Lo tocchi con mano quando atterri a Varsavia o a Praga, negli scali ultramoderni che sembrano il terminal 2 di Monaco, e dove come a Monaco la valigia arriva dopo 3 o 5 minuti, non un’ora come a Fiumicino. L’economia polacca, la più grossa del centro-est, cresce al ritmo tedesco: 4 per cento e oltre, valuta stabile, conti pubblici sotto controllo e tetto al debito iscritto nella Costituzione. Nella Repubblica cèca la crescita del pil è saldamente sopra il 2,3 per cento, in Slovacchia al 3,5 per cento abbondante: la Polonia, i due piccoli “paesi-cugini separati”, eredi di quella che prima di Hitler e Stalin fu la sesta potenza industriale del mondo, e in parte la stessa Ungheria (più 2,2 per cento) sono tornati società  di ceto medio, classe operaia garantita e sempre meno disoccupati, e mercati interni in decollo, agganciandosi alla locomotiva tedesca. Le forniscono di tutto: indotto auto di qualità , elettronica, macchinari, laureati e operai di prim’ordine, fino alla produzione completa (in Slovacchia) dei Suv tedeschi, o dei più moderni autobus articolati per Berlino, made in Poland. Il nuovo Muro non scorre più tra Est e Ovest. E non divide fuggiaschi e mète proibite, bensì chi è global player e chi meno.

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