Sgomberi elettorali nella Milano dell’Expo

by Sergio Segio | 10 Maggio 2011 8:47

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 MILANO. Dopo una vita passata in un container del campo rom più grande di Milano, il Triboniano, M. alza lo sguardo alle finestre di quella che diventerà  casa sua, al nono piano di un palazzo nella periferia sud di Milano. Vedova, con quattro figli, lavora come donna delle pulizie per una cooperativa in un comune nel nord dell’hinterland milanese. La incontriamo dopo che ha appena visionato l’appartamento dell’Aler (Azienda Lombarda Edilizia Residenziale) che le è stato assegnato da graduatoria. Poi la firma: M. accenna un sorriso solo quando ha finito di mettere il proprio nome al termine del contratto che sancisce, nero su bianco, che quella sarà  la casa dove lei e i suoi quattro figli andranno ad abitare. Con lei Fiorenzo De Molli, operatore della Casa della Carità , fondazione religiosa che ha avuto la gestione sociale del Triboniano dal 2007 alla sua chiusura. Fiorenzo De Molli insieme a Don Massimo Mapelli ha seguito il percorso dai campi alla “vita in casa” di decine di rom. Un percorso di inserimento sul territorio “su misura”, diverso da famiglia a famiglia. «Perché non si tratta solo di un tetto sulla testa» racconta Fiorenzo, ma di trovare un lavoro, che spesso si ottiene solo in seguito a borse lavoro, a corsi di italiano o di formazione, si tratta di garantire una continuità  scolastica ai propri figli, di organizzarsi per sostenere autonomamente le spese. «Ci vogliono almeno due o tre anni di lavoro per fare in modo che una famiglia possa andare avanti sulle proprie gambe» spiega Fiorenzo De Molli. La prima volta che la Casa della Carità  ha intrapreso questo percorso era il 30 giugno del 2005, «quando ancora i rumeni non erano cittadini comunitari». Con i pochi bagagli sottratti alla violenza delle ruspe i 76 rom romeni a cui avevano appena distrutto le baracche che sorgevano in via Capo Rizzuto aspettavano sotto a una pianta nei pressi della stazione metro di Molino Dorino per ripararsi dalla calura estiva. «Non avevano idea di dove andare» ricorda Fiorenzo. «Così don Virginio Colmegna disse a Don Massimo Mapelli che stava guidando un pulman pieno di bambini rom di ritorno dal mare: portiamoli alla Casa della Carità . Mentre riempivamo l’auditorium della Casa di brandine e allestivamo il necessario per ospitarli ci siamo chiesti: e adesso cosa facciamo?». È così che è iniziato un percorso «che non è stato programmato a tavolino». Da allora molti altri rom in fuga dagli sgomberi, «che ormai sono la normalità  a Milano», hanno chiesto aiuto alla Casa della Carità , dove è stato allestito un container per le “emergenze”.

«Alcuni se ne vanno dopo qualche giorno: vivere nelle baracche è a “costo zero” e conviene. Altri accettano la sfida e iniziano il percorso con noi». I primi mesi sono completamente spesati in modo che le uniche preoccupazioni siano quelle di mandare i propri figli a scuola e di trovare un lavoro: «Il tempo necessario per capire come è possibile progettare una vita fuori dal campo». Poi il passaggio graduale all’indipendenza. Prima in una struttura a Parco Lambro gestita dal Centro Ambrosiano di Solidarietà , che collabora con la Casa della Carità , dove le famiglie pagano gli alimenti e possono iniziare a rendersi conto delle spese da sostenere mensilmente. Quindi in abitazioni affittate da Una casa anche per te, che lavora a stretto contatto con la fondazione di Don Colmegna. Infine il grande passo: una casa affittata o comprata con le proprie forze. «Non sempre è un percorso facile, non sempre funziona. Si tratta di ragionare su come e dove voler abitare, capire su quali risorse poter fare affidamento, imparare che una casa ha regole diverse dal campo» racconta Fiorenzo.
Su 120 famiglie che abitavano al Triboniano, una cinquantina hanno accettato questo percorso «non di certo automatico». Per loro il Piano Nomadi prevede lo stanziamento di fondi per l’autonomia abitativa di 3mila euro una tantum per spese come cauzione, anticipo o notaio, più un massimo di 450 euro mensili di supporto all’affitto o al mutuo (per chi ha l’alloggio popolare il sostegno è più basso). «Un badget sicuramente inferiore al costo di una famiglia rom in perenne sgombero o in un campo attrezzato».
Accade anche questo nella Milano di De Corato che ad aprile ha festeggiato i cinquecento sgomberi di insediamenti abusivi, a partire dal 2007. Perché se il Piano Nomadi prevede la chiusura, l’alleggerimento o la messa in sicurezza di quasi tutti i campi rom regolari, per gli insediamenti abusivi è la moral suasion dei continui sgomberi l’unica politica adottata. Così se il 2 maggio, in tempismo perfetto per la scadenza elettorale, il sindaco Letizia Moratti e il ministro Roberto Maroni hanno sancito definitivamente la chiusura del Triboniano, campo rom scomodo perché troppo vicino ai terreni Expo, per gli operatori della Casa della Carità  il percorso continua. «Nei prossimi mesi, come prevede la convenzione del Piano Maroni, li accompagneremo fino a che saremo sicuri che ce la possono fare da soli».

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