Sei ipotesi di ristrutturazione per il debito di Atene. Ecco i pro e i contro secondo Roubini
Ipotesi 1: default
La soluzione più radicale è il default di Atene a cui far seguire l’offerta ai creditori di titoli dal valore nominale ridotto. Questa soluzione avrebbe l’indubbio vantaggio di alleggerire notevolmente il peso del debito su Atene. Tuttavia le conseguenze a livello sistemico potrebbero essere drammatiche. Il settore creditizio locale, i cui bilanci sono pieni di titoli di stato greci, subirebbe un contraccolpo con il risultato che la crisi della finanza pubblica finirebbe col trasformarsi in una crisi della finanza locale. I default di Atene potrebbe poi scatenare una crisi sistemica che contagerebbe tutta l’Eurozona di cui tutti subirebbero le conseguenze: dai creditori privati a quelli pubblici (gli stati che hanno prestato soldi ad Atene e la Bce, il cui bilancio è pieno di titoli di stato di paesi periferici).
Ipotesi 2: offerta di titoli dal valore ridotto
L’effetto contagio sarebbe decisamente più contenuto in caso di una ristrutturazione attraverso un’offerta ai possessori di bond di titoli dal valore nominale ridotto. Tuttavia c’è il rischio che una buona fetta di questi non accetti l’offerta. Questa opzione poi non sterilizzerebbe la speculazione sui credit default swap (i derivati che assicurano sul rischio fallimento di un’emittente). Questi anzi, segnala la tabella di Rg monitor, potrebbero subire un’impennata.
Ipotesi 3: “Brady bonds”
L’ipotesi sposata da Roubini e gli economisti del suo team, ribadita anche nell’intervista al nostro quotidiano, è quella sull’esempio dei “Brady Bonds”. Questa tipologia di prodotti prende il nome da Nicholas Brady, segretario al Tesoro degli Stati Uniti con Reagan e Bush Senior, che si occupò di piani di ristrutturazione per i paesi dell’America latina negli anni ’80. La proposta prevede in sostanza si offrire ai possessori di bond greci titoli che hanno lo stesso valore nominale ma scadenze più lunghe e cedole minori. L’ipotesi “Brady bonds” non ridurrebbe il debito di Atene ma lo renderebbe più sostenibile a lungo termine. I rischi sistemici, secondo Roubini, poi sarebbero ridotti al minimo.
Ipotesi 4: fondo salva stati
La quarta ipotesi è attuabile solo dopo il 2013. Dopo cioè che sarà entrato in vigore il fondo salva stati dell’Unione europea. Le risorse di questo fondo, secondo questa proposta, dovrebbero essere utilizzate per il riacquisto da parte della Grecia dei propri titoli sul mercato. Questa ipotesi tuttavia presuppone un difficile intervento legislativo per modificare le prerogative del fondo salva stati.
Ipotesi 5: Bail in dei creditori
Un’altra ipotesi è quella dell’intervento sul capitale dei privati possessori di titoli di stato greci, il cosiddetto “bail in”. La procedura prevede di convertire i titoli di stato greci che i privati (per esempio le banche) hanno a bilancio in una quota di capitale ordinario (azioni). Questa operazione potrebbe avvenire o con un’offerta di capitale pari al valore nominale dei titoli nel portafoglio del creditore o inferiore. Questa seconda ipotesi sarebbe ovviamente più favorevole ad Atene che, tuttavia vedrebbe la propria credibilità sul mercato nettamente compromessa. I contro, per Rgm sono i primo luogo la natura “coercitiva” di questa operazione con cui Atene finirebbe per scaricare sul sistema creditizio il proprio indebitamento. Le conseguenze sull’economia locale vengono quantificate in due anni di stagnazione.
Ipotesi 6: Nessun intervento
L’ultima ipotesi prevede che non venga messo in atto alcun intervento di ristrutturazione in attesa che entri in vigore il fondo salva stati. I pro di questa opzione sono il limitato “effetto contagio”. I contro che il debito di Atene non vedrebbe ridurre il proprio debito. In questa ipotesi poi il fondo salva stati dell’Ue dovrebbe raddoppiare il proprio capitale (da 500 a mille miliardi di euro).
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