by Editore | 18 Maggio 2011 6:20
«Le avventure amorose di Camillo sono state sottovalutate dagli storici. È sembrato che fossero un brillante passatempo, un modo come un altro di uccidere la noia. Non è così». Lo scrive Piero Ottone nel suo libro Cavour. Storia pubblica e privata di un politico spregiudicato, che esce da Longanesi (pagg. 192, euro 17,60).
Di blande rettifiche di questo tipo il volume è pieno, quasi a volerlo battezzare come un’opera esente da toni accademici, ma ravvivata da aneddoti, ricca di espressioni e metafore che gli storici di professione si astengono dall’adottare. Se il disegno dell’autore è questo, occorre prendere atto della sua piena riuscita. Ne viene fuori un Cavour spiato nei difetti, scrutato nelle manie, inseguito nelle stanchezze, rievocato negli accessi di megalomania e negli scatti d’ira. Per fare un esempio minimo, di rado capita di veder registrate, fra i tratti salienti d’un personaggio pubblico di quella statura, le «fregatine di mani» cui egli indulge: un suo tic abituale nei «momenti di euforia». È come se il biografo si sentisse condizionato, scrivendo, dall’attitudine che aveva l’illustre biografato nel neutralizzare l’enfasi dovunque ne sospettasse la presenza. Quello che emerge da questa rilettura firmata Ottone è un Cavour «sorpreso» nella vita d’ogni giorno. Più che un padre, uno zio della patria, affetto da quel tanto di narcisismo che piacevolmente ne umanizza la grandezza.
Non a caso le pagine più riuscite del testo sono quelle che riguardano Cavour e le donne, investendo cioè la sfera più privata che ci sia.
Vorremmo citare un record che l’opera di Ottone raggiunge in questo senso. È il capitolo che egli dedica ad Anna Giustiniani Schiaffino, detta Nina. È la donna che di Camillo s’innamorò, fervidamente ricambiata, quando egli aveva appena vent’anni. È, per entrambi, il culmine della carriera amorosa che ne scandisce l’esistenza. Lui è un sottotenente appena uscito da un’Accademia militare pochissimo prediletta, la cui frequenza gli è stata imposta dalla sua condizione di cadetto d’una famiglia aristocratica. Lei, sposata con un marchese, lo supera in età di un paio d’anni. In questa estasi sentimentale conclusa dal suicidio della signora si vedono divampare gli slanci, i languori e le ansie d’un secolo, l’Ottocento, che l’eroismo romantico adottò come emblema. «La passione, la malattia, la sofferenza» ne sono gli ingredienti, e ne emerge il ritratto di una società e di un tempo. Era – così il biografo ambienta i personaggi e i loro stati d’animo – «come leggere Byron o Shelley con una sonata di Chopin sullo sfondo». Scorre anche qui la leggera vena polemica, abituale in Ottone, che insinua spesso nella sua scrittura una stilla di gradevole snobismo. «Il Camillo così romantico», egli sostiene, «è ben diverso dal personaggio equilibrato, saggio, calcolatore degli archivi storici».
Benché allergico agli archivi, o almeno guardingo verso chi esagera nel frequentarli, non è assolutamente detto che Ottone schivi in queste sue pagine le vie maestre della storia. Da cima a fondo, il suo libro è intessuto di notizie sulle manovre politiche, anche le più intricate e impegnative, che accompagnarono l’esperienza del Conte e la nascita dell’Italia unita. Non è tuttavia per nulla un peccato che accanto al celebrato uomo di Stato si affacci a mostrare il proprio volto, in tante scene di questo Cavour, un uomo e basta
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