Religione, l’ultima arma del colonnello

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La sentenza è difficile da eseguire. Undicimila vittime sono troppe anche per i teorici del metodo Lockerbie. E per invitare alla riconciliazione. La dura rappresaglia dovrebbe colpire paesi come Italia, Francia, Danimarca, Qatar ed Emirati Arabi, parte attiva nella coalizione che intende deporre il Rais. Dal momento che la minaccia è stata lanciata durante una conferenza stampa del governo, è evidente che il regime di Gheddafi, giunto agli ultimi spasmi, utilizza anche l’arma della religione per coagulare attorno a sé la popolazione e la simpatia, assai scarsa, del mondo della Mezzaluna. In passato le carte religiose giocate dal leader della Jamahirya, che ha contrapposto il suo Libretto Verde ai dettami della tradizione nel tentativo di porla sotto tutela come la democrazia, non ha mai riscosso grande successo negli ambienti osservanti o di matrice islamista, fuori e dentro la Libia. Comunque l’ortodossia religiosa avrebbe buon gioco a contestare la legittimità  della pronuncia. Per essere tale, una fatwa deve rispondere a un preciso quesito e deve essere fornita da esperti di scienza giuridica. L’emissione di simili decisioni spettano, oltreché ad un giudice (qadi), ad un mufti, ossia ad un giurista il cui compito è armonizzare la legge positiva con quella divina. Nella continua decostruzione della gerarchia religiosa che ha caratterizzato l’islam sunnita, tipica “religione senza centro”, senza un’autorità  che sia riconosciuta collettivamente e, in quanto tale, capace di legittimare il responso, il pronunciamento di una fatwa è divenuto prerogativa di soggetti, anche autoproclamatisi, che a vario titolo, religioso ma anche politico, si sentono legittimati a farlo. Una situazione che provoca il proliferare di opinioni assai diverse su questo o quel fatto. In questa babele religiosa il responso dell’imam Noureddin al-Mijrah, vale dunque quanto quelli, magari di segno opposto, che possono essere pronunciate da esperti che condividono le istanze dei ribelli. Non è un caso che l’unico centro che possiede un’autorità  teologica e giuridica più larga, quello di Al Azhar, l’abbia immediatamente contestata. In ogni caso, operativamente, la ” sentenza” pare assai difficile da eseguire. Undicimila vittime sono troppe anche per eventuali teorici del metodo Lockerbie. Anche se non è escluso che il Colonnello, che dichiara sin troppo ottimisticamente di non poter essere raggiunto dai raid dei ” vigliacchi dei crociati”, possa reagire mobilitando, in azioni di matrice terroristica all’estero, apparati e disperati ancora a lui fedeli. La situazione, infatti, si fa sempre più critica per Gheddafi. I suoi centri di comando sono colpiti; la situazione di Misurata, città  – chiave per i destini della guerra, volge a favore degli insorti; anche gli Stati Uniti, dopo Francia e Italia, si avviano verso un riconoscimento del Consiglio di transizione libico, definito interlocutore ” legittimo e credibile” dalla Casa Bianca; infine, anche le alleanze tribali traballano. Si sta chiudendo poi, per il Rais la finestra di opportunità  per un esilio concordato: la Corte Penale Internazionale si accinge a chiedere il mandato d’arresto per tre “altissimi esponenti del regime” ritenuti responsabili di crimini contro l’umanità  in Libia. Difficile che egli possa sfuggire all’imputazione. La clessidra a sabbia libica segna lo scorrere inesorabile del tempo e quello del Colonnello sembra volgere al termine.

 


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