Rallenta l’economia americana nel 2011

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NEW YORK – La ripresa Usa arranca e i mercati ballano da Wall Street a Piazza Affari. L’1,8 per cento di crescita del Pil nel primo trimestre è poco più della metà  di quel 3,1 per cento che aveva così fatto ben sperare alla fine dell’anno scorso. Gli economisti scommettevano su un rialzo del 2,2: ma per la verità  il governo americano aveva già  tarato le sue previsioni sul risultato che s’è poi rivelato finale. E anche le perdite della Borsa americana alla fine della giornata si ribaltano in guadagni: con il Dow Jones che trascinato dai tecnologici (Microsoft e Hp in prima fila) va su di 22 punti. La risalita dalla recessione, si sa, è sempre più lunga della caduta. Ma dal costo del petrolio in giù la contingenza non sta certamente disegnando lo scenario ideale: deprimendo i consumi – anche qui quasi della metà : 2,2 per contro il 4,0 – che negli Usa contano per il 70 per cento del Pil.

Il clima d’incertezza si riverbera sul G8 e l’altalena dei cambi diventa un piccolo giallo geopolitico. Davvero Barack Obama ha sollevato davanti ai partner europei la preoccupazione degli Usa per l’euro? L’impegno per risanare le finanze pubbliche spunterà  – dicono fonti Ue – nella dichiarazione finale. Che però non nominerà  espressamente la causa di tutti i mali: la Grecia.
«Obama non ha mai sollevato il problema», corregge invece piccato un funzionario di quella Francia che a Deauville sta facendo gli onori di casa. Al di là  della lesa maestà  parigina, la verità  è più terra terra. La forza dell’Europa è uno dei pochi motivi per sorridere in questo momento negli Usa: la debolezza del dollaro ha spinto le esportazioni, balzate addirittura al 9,2 per cento in più, anche qui quasi il doppio delle previsioni, 4,9. E così sono volati ancora più in altro i profitti delle grandi compagnie. E’ l’altra faccia di questa ripresa zoppa: si accorcia la gamba dei lavoratori, con il numero dei sussidi per disoccupazione che continua a crescere, 10.000 unità  in più, e si allunga invece quella delle aziende, con i profitti che crescono del 5,9 per cento. Il giro di affari, da tarare poi sull’inflazione, è di 1.700 miliardi di dollari: è il livello più alto dal lontano 1947.
Gli economisti insistono: la ripresa accelererà  verso la fine dell’anno. Ma nell’attesa i mercati cedono e la fiducia delle imprese fa acqua: Wall Street apre in calo, Piazza Affari chiude giù dello 0,71. Il paesaggio non è incoraggiante. Perfino il settore che fin qui aveva spinto di più, quello manifatturiero, è penalizzato dalla mancanza di scorte dovuta al terremoto e allo tsunami giapponese. E oltre al boom del prezzo del petrolio, la domanda dei consumatori è rallentata da quella dei beni alimentari. Aggiungeteci la disoccupazione che non passa e le paghe che, conseguentemente, non crescono ed ecco spiegata la frenata della domanda. Che fare?
Se l’economia globale seguisse l’altalena di Wall Street sarebbe tutto più facile. Qui, ieri, è bastato il caso Microsoft per passare dal brutto al bello. Il più grande investitore del gigante dei software, David Einhorn, l’uomo che aveva predetto la fine di Leheman Brothers, ha attaccato il Ceo Steve Ballmer, accusandolo di far perdere competitività  all’azienda. Il board s’è subito stretto intorno al suo capo. E l’attesa per le grandi manovre hanno fatto salire il titolo del 2.5 per cento: allargando naturalmente anche la saccoccia di Mr. Einhorn.

 


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