by Editore | 29 Maggio 2011 8:08
Nello specifico, ci riferiamo al fatto che ai giornalisti è impedito di entrare nei Centri di identificazione ed espulsione (Cie) per immigrati e persino nei Centri di accoglienza per richiedenti asilo (Cara). Non è una novità , era già accaduto in passato ma alla fine, dopo un appello e qualche protesta, il governo aveva aperto le porte di tutti i centri. Ora che proprio la gestione dell’«emergenza immigrazione» dovrebbe essere la più trasparente possibile, assistiamo invece al passo indietro. Con il paradosso che se, almeno formalmente, per stampa e televisioni è possibile entrare in carcere, i centri per immigrati (che non hanno commesso nessun reato se non quello di sognare una vita migliore lontano dalla loro terra) rimangono delle zone totalmente oscurate, delle piccole Guantanamo all’italiana.
Dall’esplodere delle primavere arabe e dalla crisi libica, il governo Berlusconi ha aperto tre nuovi centri che non sono nulla più che tendopoli recintate con il filo spinato, inaccessibili. Il manifesto ha provato a entrare in tutte ma senza successo, e per avere qualche immagine dell’interno ci si è dovuti accontentare di poche foto scattate da centinaia di metri di distanza. Solo dal Cie di Andolfato, a Santa Maria Capua Vetere nel casertano, sono filtrate abusivamente delle immagini che documentano condizioni di vita al limite della sopportabilità umana, e una «pentita» della Croce Rossa ha raccontato di aver lasciato l’organizzazione per non essere connivente con chi gestisce quel centro. Nei giorni scorsi abbiamo provato a chiedere un permesso per il “vecchio” Cie romano di Ponte Galeria, ma ancora una volta la richiesta del nostro inviato è stata cortesemente respinta con la motivazione che l’accesso è consentito soltanto agli «operatori umanitari».
Ci chiediamo, ancora prima di esigere l’apertura di queste strutture ai giornalisti, cosa si nasconda in queste aree nascoste all’informazione e dunque alla democrazia. Di cosa ha paura un governo non nuovo alle violazioni (impunite) dei diritti dei migranti (quanti rimpatri sono avvenuti senza una verifica più che sommaria dell’età e della provenienza)? Cosa si vuole nascondere all’ombra delle tendopoli dove per migliaia di persone si arena il sogno europeo? Magari nulla, ma è una banalità affermare che il mistero alimenta i peggiori sospetti. La cosa che fa più temere per lo stato di salute della nostra democrazia è però un’altra: che nessuno si adombri per il fatto che possano esistere delle zone d’ombra e che nessuno senta il desiderio di svelarle.
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