“Mediterraneo, una trincea. Così abbiamo salvato trentamila clandestini”

by Editore | 16 Maggio 2011 7:05

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LAMPEDUSA – È sull’isola da tre mesi, i primi naufraghi si erano appena accampati sulla collina. E ha una paura che non gli passa mai. Quella della notte, del buio che non fa distinguere neanche le ombre. Lui, che ne ha caricati a migliaia sulle motovedette, adesso ne è certo: «Quella povera gente non sa difendersi dall’acqua, non ha mai avuto contatto con il mare, quasi tutti non sanno stare a galla». È l’incubo del capitano di vascello Vittorio Alessandro e dei suoi marinai, una piccola ciurma che in fondo all’Italia fa onore all’Italia. 

Lui e altri cento, Guardia Costiera, capitaneria di porto di Lampedusa. Tutti con quel tormento che non li lascia. «L’abbiamo scoperto soccorso dopo soccorso, trasbordo dopo trasbordo, congolesi e somali, etiopi e ghaniani appena sfiorano l’acqua colano a picco: non sanno nuotare. Ecco perché le operazioni di recupero notturne ci fanno battere forte il cuore», racconta il comandante che da metà  febbraio è quaggiù per far sopravvivere il popolo nero che viene dal mare. Prima erano tremila, poi diecimila. Sono diventati ventimila, trentamila. Quanti ne sbarcheranno ancora? «Più di quanti ne sono arrivati sino ad ora e con barconi sempre più grandi», spiega Vittorio Alessandro mentre ricorda cosa sono stati questi ultimi tre mesi per Lampedusa e come si annunciano i prossimi tre, ora che è esplosa l’estate con il suo sole implacabile in mezzo al Mediterraneo.
Il conto dei barconi ha superato quota 240. Sono quasi tutti ammucchiati in una spianata davanti al porto, uno sopra l’altro, uno dentro l’altro. Moltissimi in legno, qualcuno di ferro. «E di ferro ne verranno ancora dalla Libia», informa questo capitano di vascello di cinquantasette anni, un siciliano nato sul mare (Porto Empedocle) e che con addosso la sua bella divisa blu in mare va da trent’anni. Ma se si avverrà  quello che tutti temono, se arriveranno davvero in massa, non basteranno più le sette motovedette e i suoi cento marinai che prendono il largo dopo ogni avvistamento. Con barconi sempre più carichi e sempre più grossi non sarà  più possibile trasferire i profughi e trainarli sui moli. In mare ci sarà  ressa, pericolo di annegamenti. 
In questi giorni la Guardia Costiera sta studiando un piano per la nuova ondata di sbarchi, stanno ipotizzando di piazzare «piattaforme galleggianti» a sud dell’isola, grandi navi o pattugliatori dove traghettare i naufraghi. «Le nostro motovedette classe 300 sono mezzi eccezionali, sono praticamente inaffondabili ma possono portare al massimo 70 persone», dice il comandante. Abbordaggio dopo abbordaggio, i guardiacoste si sono accorti che le loro motovedette – progettate per la furia del Baltico – tengono anche il mare forza 5 ma nell’incrociare i barconi nel Mediterraneo ogni volta incontrano un imprevisto. Così in questi tre mesi le motovedette hanno subito «in diretta» centoventi modifiche, una sperimentazione in acqua fra la Sicilia e la Libia che le ha trasformate in perfette macchine di salvataggio. Nel mare «laboratorio» Lampedusa la Guardia Costiera (e anche la Finanza) ha trascinato a terra quei 30 mila senza fermarsi mai. Quanti di loro stavano per scomparire fra le onde? «Almeno 10, 11 mila rischiavano di perdersi per sempre», risponde il comandante Alessandro. 
Non c’è giorno e non c’è notte nel mare intorno a Lampedusa. Eppure in tanti vogliono venire qui, da tutte le capitanerie di porto sono arrivate al comando generale molte domande di trasferimento, ufficiali e sottufficiali chiedono di salire su quelle motovedette che si spingono anche oltre le 33 o le 34 miglia, acque maltesi e acque di nessuno. «E’ qui che un marinaio della Guardia Costiera può fare fino in fondo il marinaio della Guardia Costiera», racconta ancora il comandante Alessandro che a Lampedusa ha scoperto un mondo nel mondo. Isola aspra e bellissima, attraversata da paure che lasciano cicatrici, sentimenti contrastanti che si mescolano come in tutte le frontiere. 
La giornata più penosa. «Quando alcuni abitanti dell’isola hanno respinto la nostra motovedetta carica di profughi e gridavano: ‘Buttateli a mare, buttateli a mare’…gli abitanti di Lampedusa erano esasperati, è stato un momento, solo un momento». E quella che non dimenticherà  mai. «Quando abbiamo salvato un bimbo nero che aveva ancora il cordone ombelicale, un’emozione pazzesca». Sul cellulare del capitano di vascello Alessandro c’è sempre la foto di quel bimbetto di poche ore, il suo corpo grande come la mano dell’uomo che aveva accanto. E due occhi scuri, sospettosi. Neanche era nato e aveva già  capito tutto.

 

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