“L’Italia non si governa con i sondaggi” a porte chiuse lo sfogo degli industriali

by Editore | 8 Maggio 2011 7:33

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BERGAMO – «Per fortuna la stampa non ci sente così posso usare un formula “fordista”: siamo incazzati neri». E’ a metà  pomeriggio della lunga giornata nei padiglioni della Fiera di Bergamo che Andrea Tomat, presidente degli industriali veneti dà  voce al malessere confindustriale. Fino allora soffocato, controllato tra mille distinguo e contorsioni diplomatiche. La Confindustria pensa che non sia questo il governo che risolverà  i problemi, quello della bassa crescita economica e della disoccupazione. Ma lo dice a porte chiuse. «L’Italia che vogliamo non è quella che si governa con i sondaggi», grida Vincenzo Boccia, giovane leader della Piccola, la pancia vera della Confindustria, e prende gli applausi dalla sala trasformatasi nello sfogatoio di Bergamo.

Senza politici. Quasi una lunga seduta di autocoscienza di una lobby alla ricerca della sua nuova identità . Sono arrivati in oltre cinquemila. Fin dalla mattina presto. Due chilometri di coda all’uscita dall’autostrada, lì accanto a qualche capannone chiuso, non solo il sabato, per colpa di una crisi che ha colpito duro anche da questi parti. Ma dove, comunque, il tasso di disoccupazione resta a livelli bassissimi, il 3,7%, e dove l’industria dopo ben undici trimestri consecutivi di calo occupazionale ha ripreso ad assumere. Questa è una piccola Germania. Un gruppetto di militanti di Rifondazione comunista aspetta i confindustriali a ridosso del parcheggio della Fiera: bandiere rosse, falce e martello e qualche slogan antipatizzante.
Gli industriali arrivano con i loro macchinoni blu tedeschi o giapponesi perché Sergio Marchionne piace più come castigatore della Fiom che come produttore d’auto. Ma arrivano anche in pullman, come i manifestanti sindacali. Da Napoli un volo charter ne ha portati intorno ai duecento a Orio al Serio. Poi da lì in bus.
Scendono con trolley e grisaglie, gli uomini; in tailleur, ma pure qualche tubino nero e tacchi fino a dodici centimetri, le poche donne. Il popolo confindustriale è variopinto. Ci sono i piccoli, piccolissimi che fanno servizi alle imprese, e c’è la responsabile del cerimoniale dell’Eni, multinazionale tricolore del petrolio, che si preoccupa, perché questa è la prima uscita pubblica del neo presidente Giuseppe Recchi. Arrabbiati, ma anche rassegnati. Delusi da Berlusconi, meno da Tremonti, ma pronti a rivotarlo. Per mancanza di alternativa o per scelta. Franco Manfredini, emiliano, presidente della Confindustria Ceramica, tipico made in Italy: «A questo governo rimprovero di aver avuto poco coraggio, soprattutto negli ultimi tempi. Non è stato capace di prendere decisioni impopolari per esempio sulle liberalizzazioni». Eppure fa capire che rivoterebbe «Silvio» perché non sa chi c’è dall’altra parte. «E io – aggiunge – sono bipolarista convinto». Quindi non si esprime sull’eventuale discesa in campo di Luca di Montezemolo, magari come leader del terzo polo. «Ma cosa vuole aspettarsi? Questo è un covo di Forza Italia», semplifica al cronista Franco Vantaggi che fa il consulente degli industriali delle ceramiche. Eppure i berlusconini, come li appellò l’Avvocato Agnelli sono in disarmo.
Che si stia chiudendo una stagione lo sanno e lo dicono tutti qui a Bergamo. Ma nessuno sa come davvero andrà  a finire. Montezemolo arriva in elicottero nel pomeriggio insieme a Nerio Alessandri, fondatore di Tecnogym. Ha scelto di ascoltare «i colleghi industriali» e non parlare. Poco dopo atterra anche Diego Della Valle. Che, invece, interviene, a modo suo: «Ci meritiamo un paese migliore. Noi siamo gli azionisti di questo Paese e come tali abbiamo il diritto di valutare le cose e di esprimere le nostre opinioni». E’ il nuovo malessere confindustriale che si infrange su un Parlamento esautorato della sua stessa funzione legislativa. Perché un tempo, prima dei deputati nominati e della decretazione governativa omnibus, la Confindustria sapeva come fare lobby. Lì dentro le commissioni parlamentari, nei corridoi di Montecitorio e Palazzo Madama. Ma ora? O si convince il potente ministro dell’Economia, Giulio Tremonti, oppure non si va in gol. Frustrazione di una lobby che, per via dei tagli tremontiani, non può giocare nemmeno nel territorio. Perché le Regioni avrebbero le nuove competenze e le leggi elettorali sono diverse. Nemmeno le Regioni, però, hanno i soldi. E allora, stancamente, si apre nei corridoi della Fiera, mentre si susseguono le riunioni nelle otto commissioni di lavoro (dal fisco alle relazioni industriali), la campagna elettorale per il dopo Marcegaglia, il cui mandato scade tra un anno. Si fanno i nomi di Giorgio Squinzi, patron di Mapei, di Gianfelice Rocca, proprietario del colosso siderurgico Tenaris. E poi di Aurelio Regina, Sigaro Toscano e presidente di Unindustria Roma e Lazio, e di Andrea Riello, già  presidente del Veneto. Ma neanche la Confindustria sarà  quella di un tempo.

 

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