“Finito il tempo di Gheddafi”. Il discorso di Obama
Benché questi Paesi siano lontani da noi, sappiamo che il nostro futuro è legato indissolubilmente a queste regioni per l’economia e la sicurezza, la storia e la fede. La domanda alla quale dobbiamo rispondere è quale ruolo rivestirà l’America mentre la storia si fa sotto i nostri occhi. Politica degli Stati Uniti sarà quella di promuovere le riforme nella regione, e appoggiare le transizioni verso la democrazia.
Tutto ha avuto inizio in Egitto e in Tunisia, dove la posta in gioco era alta. La Tunisia è stata all’avanguardia di questa ondata democratica, e l’Egitto era allo stesso tempo nostro partner di lunga data e la nazione araba più grande al mondo. Sfortunatamente, in troppi Paesi alle richieste di cambiamento si è risposto con la violenza. Esempio gravissimo è la Libia, dove Muammar Gheddafi ha dichiarato guerra al suo stesso popolo, promettendo di schiacciarlo come si schiacciano i topi. Se la Libia ha dovuto far fronte a una violenza su grandissima scala, non è però l’unico Paese nel quale i leader pur di rimanere al potere si sono dati alla repressione. Ancor più di recente, il regime siriano ha scelto la strada dei massacri e degli arresti in massa dei propri cittadini. Gli Stati Uniti hanno condannato queste azioni; di concerto con la comunità internazionale abbiamo inasprito le nostre sanzioni contro il regime siriano, comprese quelle annunciate ieri al presidente Assad e ai suoi più stretti collaboratori.
Il presidente Assad adesso deve scegliere: può mettersi a capo della transizione o abbandonare il potere. Il governo siriano deve smettere di sparare sui dimostranti e permettere che si svolgano manifestazioni pacifiche; rilasciare i prigionieri politici e fermare gli arresti ingiustificati; consentire a chi monitora il rispetto dei diritti umani di accedere a città quali Dara’a; e avviare un serio dialogo per promuovere una transizione democratica.
Se l’America intende essere credibile, dobbiamo ammettere che non tutti i nostri amici nella regione hanno reagito alla domanda di cambiamento in modo coerente con i principi che sto illustrando oggi. Ciò vale per lo Yemen, dove il presidente Saleh dovrà mantenere l’impegno preso di cedere il potere. Ed è altresì vero per il Bahrain.
Anche se appoggiamo le riforme politiche e i diritti umani nella regione, non possiamo accontentarci e fermarci qui. Pertanto è necessario dare il nostro sostegno per un cambiamento positivo nella regione che avvenga promuovendo lo sviluppo economico nelle nazioni che vivono la transizione verso la democrazia.
L’appoggio che l’America dà alla democrazia si baserà pertanto sulla garanzia della stabilità finanziaria, sulla promozione delle riforme, sull’integrazione dei mercati in concorrenza tra loro e dell’economia globale – a cominciare dalla Tunisia e dall’Egitto.
Primo: abbiamo chiesto alla Banca Mondiale e al Fondo Monetario Internazionale di presentare al summit del G-8 della settimana prossima un piano contenente le specifiche di ciò che occorre fare per stabilizzare e modernizzare le economie di Tunisia ed Egitto. Sollecitiamo anche altri Paesi ad aiutarli a far fronte alle loro necessità finanziare a breve termine.
Secondo: non vogliamo che il nuovo Egitto democratico sia gravato dai debiti del passato. Pertanto alleggeriremo il debito del nuovo Egitto democratico nella misura di un miliardo di dollari, e lavoreremo con i nostri partner egiziani per investire queste risorse a vantaggio della crescita e dell’imprenditoria. Aiuteremo gli egiziani a riconquistare accesso ai mercati garantendo prestiti per un miliardo di dollari necessari a finanziare le infrastrutture e la creazione di posti di lavoro. E infine aiuteremo i nuovi governi democratici a recuperare tutti gli asset loro sottratti.
Terzo: stiamo collaborando col Congresso per creare gli Enterprise Funds per investire in Tunisia e in Egitto. Tali fondi saranno modellati sulla falsariga di quelli che sorressero le transizioni in Europa dell’Est dopo la caduta del Muro di Berlino.
Quarto: gli Stati Uniti lanceranno un’iniziativa a tutto campo per una partnership commerciale e per gli investimenti in Medio Oriente e in Nordafrica. Collaboreremo quindi con l’Unione Europea per facilitare ancor più i commerci nella regione, per rafforzare gli accordi e le intese preesistenti e per promuovere l’integrazione con i mercati europei e statunitensi, aprendo le porte a quei Paesi che adotteranno alti parametri nelle loro riforme e la liberalizzazione commerciale per dar vita a un’intesa commerciale regionale. Proprio come il processo di adesione alla Ue è servito da incentivo per riformare l’Europa, così la visione di un’economia moderna e prospera dovrebbe dar vita a una forza potente per riformare il Medio Oriente e il Nordafrica.
Permettetemi di concludere parlandovi di un’altra pietra miliare di questo nostro nuovo approccio in quella regione, che ha a che vedere con il perseguimento della pace. Da decenni il conflitto tra arabi e israeliani getta un’ombra su tutta la regione. La mia Amministrazione ha lavorato con entrambe le parti in causa e con la comunità internazionale per oltre due anni per porre fine a questo conflitto e malgrado ciò tutte le aspettative sono andate deluse. L’attività degli israeliani negli insediamenti prosegue. I palestinesi hanno abbandonato il tavolo delle trattative.
Nel momento in cui i popoli del Medio Oriente e del Nordafrica si stanno alleggerendo delle zavorre del passato, l’impulso verso una pace duratura, che ponga fine al conflitto e risolva ogni pretesa, è più urgente che mai.
Sta agli israeliani e ai palestinesi passare all’azione. Gli Stati Uniti credono che i negoziati dovrebbero portare a due stati, a confini permanenti della Palestina con Israele, Giordania ed Egitto, e confini permanenti israeliani con la Palestina. I confini tra Israele e Palestina dovrebbero tornare a essere quelli fissati nel 1967 procedendo a scambi di territorio reciprocamente concordati, così che i confini di entrambi gli stati siano sicuri e riconosciuti. Il popolo palestinese deve avere il diritto ad autogovernarsi, a raggiungere il proprio pieno potenziale, in uno stato sovrano e contiguo a Israele. Per quanto riguarda gli aspetti della sicurezza, ogni Paese ha il diritto di difendersi e Israele deve poterlo fare, da solo, nei confronti di ogni minaccia.
Non esiste una strada diritta che conduca al progresso, e le difficoltà si accompagnano sempre a una stagione di speranze. Ma gli Stati Uniti d’America furono fondati sul principio che ogni popolo dovrebbe autogovernarsi. Adesso, quindi, non possiamo esitare a schierarci risoluti al fianco di coloro che stanno per ottenere i loro diritti, ben consapevoli che il loro successo porterà a un mondo più pacifico, più stabile e più giusto.
(Traduzione di Anna Bissanti)
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