“Così trovammo quegli elenchi”

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«Non pensavamo certo di trovare una cosa del genere. Con quella lista davanti agli occhi fu immediata la sensazione che quel materiale fosse esplosivo». Gherardo Colombo, con il suo collega Giuliano Turone, è il magistrato che ha scoperto, nel marzo del 1981, due mesi prima che il governo decidesse di renderle pubbliche, le liste degli appartenenti alla P2. Colombo da quattro anni è uscito dalla magistratura e si dedica a un lavoro di sensibilizzazione dei giovani, particolarmente nelle scuole, ai temi della legalità  e del rispetto delle regole, qualcosa che si può chiamare una “pedagogia costituzionale”. A trent’anni di distanza il ricordo di quei giorni è ancora molto vivo, percorso dalle emozioni della scoperta e da episodi quasi grotteschi.

Dottor Colombo, come siete arrivati alle carte di Gelli?
«Giuliano Turone e io eravamo giudici istruttori delle indagini che riguardavano l’omicidio Ambrosoli e il cosiddetto “finto rapimento” di Sindona. In quell’inchiesta emergevano molteplici collegamenti tra il finanziere siciliano e Gelli. Decidemmo di perquisire l’abitazione di Gelli, l’azienda Giole, e l’Hotel Excelsior di Roma, dove il venerabile dà  appuntamento a tutti i suoi interlocutori».
Dove erano le liste?
«Avevamo chiesto agli ufficiali della Guardia di Finanza incaricati delle perquisizioni di non avvertire nemmeno i loro superiori. A un certo punto quella mattina del 17 marzo da Castiglion Fibocchi, dove si trova la Giole, arriva una serie frenetica di telefonate. Il colonnello Bianchi ci avverte che ha trovato materiale importantissimo, con i nomi degli appartenenti alla loggia P2. Noi siamo impazienti, per vedere il tutto dobbiamo aspettare la mattina dopo».
E cosa pensate quando lo avete in mano?
«È subito evidente che siamo davanti a qualcosa di inimmaginabile. Negli elenchi ci sono i nomi di ministri in carica, dei vertici dei servizi di sicurezza, parlamentari, prefetti, questori, alti ufficiali delle forze armate, imprenditori, giornalisti, editori. I capi della Guardia di Finanza protagonisti dello scandalo dei petroli, ufficiali dei servizi responsabili dei depistaggi sulle stragi. Anche magistrati. C’è anche il nome di un generale argentino che fa parte della giunta golpista responsabile dei “desaparecidos”. È una cosa enorme. Decidiamo due cose: evitare qualunque fuga di notizie e mettere al sicuro i documenti. Li fotocopiamo e li nascondiamo nel fascicolo di un’indagine che un nostro collega sta conducendo su tutt’altra questione. Poi cerchiamo il presidente della Repubblica. Ma Pertini è in viaggio di Stato in Sudamerica. Allora prendiamo appuntamento con il presidente del Consiglio, Arnaldo Forlani».
E cosa accade?
«Dopo ore di anticamera, a Palazzo Chigi ci accoglie il segretario di Forlani, prefetto Semprini, il cui nome è nella lista. Pensavamo che avesse il buon gusto di non venire proprio lui ad aprirci la porta, ci viene da ridere. Il presidente del Consiglio mostra di non sapere perché siamo lì. Glielo spieghiamo e per un paio di minuti non riesce ad articolare parola. Poi balbetta, cerca di minimizzare. Il minuetto è estenuante. Alla fine Forlani ci dice che studierà  le carte personalmente e poi deciderà  cosa fare».
Il presidente del Consiglio nominerà  un comitato di saggi e il 20 maggio renderà  pubbliche le liste. Lo scandalo sarà  enorme e Forlani si dovrà  dimettere. Intanto qual è il destino della vostra inchiesta?
«Pochi mesi dopo, a settembre, le indagini verranno trasferite a Roma. E alcuni filoni dell’inchiesta saranno archiviati. Per scoprire, ad esempio, il Conto Protezione di cui ha usufruito Bettino Craxi, abbiamo dovuto attendere il periodo di Mani Pulite. Alla fine dei processi ci saranno alcune condanne, ma la natura della P2 è riuscita a sfuggire, e intrecci, collusioni e complicità  che sarebbero potute emergere allora sono rimasti sommersi».
A suo giudizio cosa è stata la Loggia di Licio Gelli?
«Rispondo con le parole del comitato dei saggi: “Un luogo di influenza e di potere occulto. Un’associazione occulta può diventare uno Stato nello Stato e questo non può essere consentito nell’ordine democratico”. E con quelle della relazione di maggioranza della commissione parlamentare presieduta da Tina Anselmi. “Una operazione politica ispirata a una concezione del potere che tutto usa e a nessuno risponde se non a se stesso, contrapposto al governo che esercita il potere ma è al servizio di chi vi è sottoposto”».
Cosa è rimasto oggi della P2?
«Ci sono esponenti delle istituzioni il cui nome è stato trovato nelle liste degli appartenenti alla loggia. Ma la situazione è senz’altro diversa. Una volta che la segretezza è finita, l’associazione ha perso il suo scopo. Ora non si tratta più di svelare un potere occulto, e i cittadini, gli elettori, hanno gli elementi per giudicare e decidere. Il pallino è in mano a loro».

 


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