Prima volta da presidente in pectore Draghi oggi al direttivo di Francoforte
BRUXELLES – Lo scontro all’interno delle istituzioni europee sulla opportunità o meno di una ristrutturazione del debito greco è ormai aperto, plateale e alla luce del sole. Alcuni governi, specialmente nel Nord Europa, e una parte dei membri della Commissione sembrano convinti che non ci sia alternativa ad un prolungamento delle scadenze e ad un taglio sugli interessi del debito di Atene, anche alla luce del fatto che il governo Papandreou non è riuscito a mantenere gli obiettivi di risanamento concordati per il 2010 e ben difficilmente riuscirà a centrare quelli del 2011. Ma la Banca centrale, il Fondo monetario internazionale e l’Ocse sono contrari ad ogni ipotesi di «default» di un Paese membro dell’eurozona.
In parte il dibattito riflette anche il durissimi braccio di ferro in corso tra Bruxelles e Atene sull’inasprimento della manovra di risanamento chiesta alla Grecia. Al coro delle pressioni, ieri si è aggiunta anche la cancelliera tedesca Angela Merkel che propone di alzare l’età pensionabile in tutta Europa e di ridurre le vacanze pagate ai lavoratori sul modello di quanto si fa in Germania. «La questione in paesi come Grecia, Spagna e Portogallo è che non si può andare in pensione prima di quanto avviene in Germania. Né si può avere una moneta unica se un paese prevede tante vacanze ed un altro molte di meno. Questo sistema alla lunga non funziona».
La cancelliera deve fare i conti con il malcontento del suo elettorato, restio a contribuire al salvataggio di Paesi che hanno un tasso di produttività e di competitività molto inferiore a quello tedesco. La stessa cosa ha fatto ieri il suo ministro delle finanze, Wolfgang Schauble chiedendo ancora una colta che gli investitori, e non i contribuenti, siano chiamati a rispondere del rischio assunto acquistando bond di Paesi in difficoltà . «Il settore privato deve partecipare alla risoluzione della crisi del debito. E’ una questione di giustizia ed è una priorità del governo tedesco per fronteggiare il problema del “moral hazard”».
Ma è bastato che martedì il presidente dell’Eurogruppo Jean Claude Juncker accennasse per la prima volta alla possibilità di una ristrutturazione del debito greco, perché dalla Bce e dalle altre istituzioni arrivasse una vera levata di scudi. Secondo Jungen Stark, membro del board della Bce e capo economista dell’Istituto di Francoforte, «sarebbe una catastrofe», un errore devastante, paragonabile al fallimento di Leheman’s Brothers che ha innescato la crisi finanziaria mondiale, e «sarebbe un disastro per le banche greche». Anche il membro italiano del board Bce, Lorenzo Bini-Smaghi, è durissimo: «Si parla tuttora di ipotesi come quella di ristrutturazione soft come se non avesse effetti devastanti l’idea di poter accettare che un paese dell’area euro possa venir meno ai propri impegni». E Victor Constancio, il vicepresidente della Banca centrale, che detiene sessanta miliardi di titoli greci, conferma: «Nei paesi avanzati la ristrutturazione del debito è una cosa molto seria e l’idea secondo cui deve essere una soluzione da contemplare fin dall’inizio è completamente sbagliata perché scatenerebbe conseguenze per il paese».
Ocse e Fmi sostengono la linea della Bce. «Bisogna lasciare un po’ più di tempo al governo greco, perché le misure adottate diano i risultati attesi» dice il segretario generale dell’Ocse, Angel Gurria. E lo stesso Papandreou, per ora, esclude ogni idea di ristrutturazione: «Continuiamo a pensare che i danni sarebbero molto superiori ai benefici».
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