by Sergio Segio | 10 Maggio 2011 13:24
ROMA – In 30 persone in uno spazio di circa 40 metri quadri e un solo bagno. Tutti insieme, uomini, donne e bambini in uno stanzone con una sola finestra. È questo “l’alloggio stabile e dignitoso” che aveva auspicato il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, dopo la tragedia in cui persero la vita 4 fratellini in un rogo di via Appia Nuova a Roma? E’ quanto chiede l’associazione 21 luglio, impegnata per la tutela dei diritti dei minori rom nella capitale, in una lettera inviata nei giorni scorsi allo stesso Napolitano. Una lettera per denunciare come per la famiglia di Raul, Fernando, Patrizia e Sebastian, morti tra le fiamme la sera del 6 febbraio in un insediamento spontaneo, il comune di Roma non abbia ancora trovato una sistemazione degna degli auspici del Presidente della Repubblica.
Una lettera, quella della “21 luglio”, voluta per “mettere al corrente” il presidente dello “stato delle promesse rivolte alla famiglia rom a tre mesi esatti dalla tragedia”. “Dopo la tragedia, Lei, signor Presidente, è sceso in campo in prima persona – si legge nella lettera -, incontrando i genitori dei bambini e le autorità locali, e invitando queste ultime a collocare tempestivamente le comunità rom di Roma “in alloggi stabili e dignitosi”. In più davanti a Lei, e grazie alla Sua sollecitudine, a Elena Moldovan e Mircea Erdei, madre e padre dei bimbi deceduti, le autorità locali di Roma Capitale avevano promesso un impegno concreto, come riferito dagli stessi genitori all’associazione 21 luglio”. Dopo i funerali in Romania, spiega l’associazione, la famiglia dei quattro fratellini è stata accolta nell’ex Cartiera di via Salaria, uno stabile in cui sono accolte circa 350 persone provenienti dagli sgomberi. Un edificio più volte al centro delle critiche della stessa associazione, che già in passato ne aveva denunciato le difficili condizioni di vita per chi vi soggiorna. “La struttura è lontana dal centro abitato – si legge nella lettera inviata a Napolitano -, circondata da un’alta rete metallica e vigilata h24. Al suo interno non è possibile ricevere visite da parenti e amici ed è proibito, anche agli ospiti, fare foto o girare video. Trecentoventi persone vivono ammassate all’interno di 5 capannoni industriali, privi di pannelli divisori e di sufficiente aerazione in condizioni igienico-sanitarie difficili”.
Al nucleo familiare di Elena e Mircea è stato riservato “un locale non ristrutturato e composto da una stanza, un bagno e due piccoli ambienti chiusi per un totale di circa 40 mq (come è possibile vedere in un video girato col telefonino all’interno della stanza e pubblicato dall’associazione 21 luglio su Youtube http://www.youtube.com/watch?v=7F84d9-m6Mc[1]. Nel soffitto evidenti macchie di umidità rivelano la presenza di infiltrazioni di acqua piovana e gli ambienti sono privi di riscaldamento. La privacy non viene garantita per la mancanza di divisori tra i letti così come manca una zona giorno ed aree coperte destinate alla socializzazione. Gli ambienti sono privi di arredo e una cucina improvvisata è stata realizzata dagli ospiti in un piccolo spazio esterno”. Una sistemazione, aggiunge l’associazione, che al comune costa “5 mila euro al mese quando basterebbe la metà per garantire loro un alloggio adeguato e confortevole in un appartamento. Tutto ciò è profondamente grave e moralmente inaccettabile. Appare soprattutto incomprensibile che una città come Roma, a tre mesi dall’immane tragedia familiare che ha scosso l’intera nazione, si sia finora mostrata incapace di offrire una adeguata soluzione alloggiativa a un nucleo di 8 persone”. Al Presidente, infine, l’appello affinché possa esserci un suo nuovo intervento per far mantenere le promesse e “porre fine a questa vergognosa e inaccettabile situazione”.
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