by Sergio Segio | 30 Maggio 2011 8:24
Con gli sconvolgimenti in corso nei paesi del Maghreb, i riflettori dei media mondiali si sono accesi sull’Africa illuminandone solo la parte settentrionale. Rimane il black-out informativo sul resto del continente. L’Africa subsahariana, quella “terra incognita” dei romani; l’Africa nera contrapposta all’Africa bianca dai colonizzatori, resta per tutti – opinione pubblica, investitori economici e decisori politici – una gigantesca nebulosa, un punto oscuro nel cantiere mobile della globalizzazione. Tutto accade come se quella barriera naturale costituita dal deserto del Sahara sia rimasta un muro invalicabile, un’inesorabile separazione dei destini tra le Afriche.
Per l’Europa sarebbe un errore fatale di prospettiva continuare a leggere le dinamiche tra le due Afriche con gli occhi del novecento coloniale. Gli sconvolgimenti attuali obbligano tutti a dimenticare le fotografie sbiadite del passato per riuscire a leggere le radiografie profonde del mondo africano. Abbiamo bisogno di bussole e di griglie di lettura rinnovate per costruire una mappa concettuale in grado di cogliere il continente africano in tutta la ricchezza delle sfaccettature neocoloniali.
L’Africa, da Tunisi a città del Capo, dal Cairo a Maputo è da considerarsi a tutti gli effetti una macro-regione economica con le sue dinamiche commerciali interne in piena intensificazione, con i flussi d’investimenti dai paesi del Nord verso quelli del sud in crescita inarrestabile nei settori dei trasporti, delle costruzioni e dell’agroalimentare. Questi scambi afro-africani, ancora embrionari, stanno diventando una realtà in grado di configurare in chiave d’interconnessione e d’interdipendenza lo sviluppo dell’Africa. Affermare ciò non significa negare la specificità dei paesi del Maghreb. La loro proiezione panaraba, la loro progressiva, anche se lenta, integrazione nella sfera economica e commerciale dell’Unione europea sono innegabili. Tuttavia, i legami commerciali ed economici con il resto del continente sono tali da configurare un futuro di sviluppo dell’Africa come un sistema integrato e complementare trainato a meridione dal gigante Sudafricano, ad oriente dall’Etiopia diventata in pochi anni un polo attrattivo di investimenti esteri, e al centro-ovest appunto dal Maghreb.
Al di là del dover-essere della costruzione di un polo economico africano di 1 miliardo di persone, è il passato recente ad avere creato l’unità di destino del continente. A nord come al sud del continente il sogno dell’indipendenza si è tramutato in un incubo d’instabilità politica e di fallimento economico. Tutte le economie africane sono state sottoposte alla drastica cura della Banca mondiale e del Fondo monetario internazionale attraverso i famigerati Programmi di Aggiustamento Strutturale (PAS). Economie a sovranità limitata dai primi anni ’80 le economie africane non sono riuscite a risanare i loro contesti macroeconomici ottenendo l’unico risultato di tagliare le spese sociali destinate alla scuola e alla sanità . I PAS hanno fragilizzato le economie africane e contribuito alla clochardizzazione di massa delle popolazioni nelle città e nelle periferie urbane degradate. I PAS hanno spinto le popolazioni africane alla doppia solitudine: sole di fronte ai meccanismi di una globalizzazione senza equità , e sole di fronte ad un’élite locale diventata semplice intermediaria d’affari tra i territori e gli interessi stranieri.
L’ulteriore destabilizzazione che ha colpito sia il nord che il sud dell’Africa arriva nel 2007 con la terribile crisi alimentare che ha provocato ovunque le cosiddette rivoluzioni del pane e del riso ad Algeri come a Dakar e Kinshasa. Ma il colpo di grazia arriva con la crisi finanziaria provocata dalla grande speculazione mondiale che ha l’effetto di annullare la pur modesta crescita economica in quasi tutti i paesi del continente. Con la crisi crollano le rimesse dei migranti africani destinate alle famiglie, dai 20 miliardi di dollari del 2008 a 1 miliardo del 2009; aumenta il numero di persone povere (quelle cioè che vivono con 1,25 dollaro al giorno) raggiungendo la cifra record di 550 milioni di persone; calano gli investimenti esteri dai 60 miliardi di dollari del 2008 ai 30 miliardi dopo la crisi; crolla la crescita dal 6% tra il 2004 e il 2008 ad uno striminzito 2,8%. Una catastrofe economica che ha ostacolato le riforme democratiche in molti paesi e portato all’aumento delle situazioni di conflitto o di pre-conflitto.
Ciascuno degli immigrati africani che arrivano in Italia porta il peso di questo fardello politico ed economico. E le migliaia di scarpe disperse nel deserto del Sahara dagli sfortunati candidati all’immigrazione in Europa sono un monito per non isolare il Nord dal Sud del continente. Lo sforzo di creatività politica ed economica richiesto all’Europa non può e non deve limitarsi ai paesi del Nord. È tutta l’Africa che bussa chiedendo aiuto ma offrendo grandi opportunità al vecchio continente.
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