Non portateci via il referendum sull’acqua
Si potrebbe partire da qui per dire che la questione dell’acqua non appartiene a un partito, di destra o di sinistra che sia, ma a tutti i cittadini. Per questo l’adesione al referendum è stata così ampia e diffusa: sono state raccolte 1.400.000 firme. Eppure oggi si vuole dare uno schiaffo a questi cittadini annullandolo con abili trucchi. Chi vuole la privatizzazione sostiene che la proprietà delle sorgenti rimane pubblica, si tratta solo di gestirne la distribuzione. Ma, proprio come sta avvenendo in questi giorni con le spiagge e le coste italiane, che senso ha garantire che le proprietà rimarranno del demanio, se per 99 anni vengono concesse in gestione ai privati? Saranno due generazioni di cittadini che non potranno avere accesso gratuito al bene pubblico. Da notare: solo nell’anno 2010, l’Acea ATO2 di Roma e provincia ha ricavato dalla gestione privata dell’acqua 59 milioni di euro di utili. Ma non ha speso un soldo per risolvere la questione dell’arsenico trovato nelle tubature, nonostante la richiesta della Comunità europea di mettersi in regola con i parametri comunitari. Non si potrebbe dimostrare meglio l’uso spregiudicato dei privati: prima i guadagni e poi la salute. Da ricordare: il 70%dell’acqua se ne va per l’agricoltura e gli allevamenti intensivi. Sono le grosse multinazionali che prenderebbero in mano l’acqua pubblica. Da ricordare: la Francia sta tornando indietro sulla privatizzazione, nonostante siano francesi le più grandi multinazionali dell’acqua. In Spagna la privatizzazione è stata bloccata. In Svizzera è stata votata una legge che impedisce l’appropriazione delle acque pubbliche. In Usa le municipalità si tengono ben stretti i propri servizi idrici. Magari appoggiano le privatizzazioni in giro per il mondo, ma a casa loro non l’hanno fatto. La Bolivia, l’Ecuador, l’Uruguay hanno cambiato la Costituzione stabilendo che l’acqua è un diritto primario e non può essere toccata. L’Argentina ha cacciato tutte le multinazionali dell’acqua dal Paese. Solo il Brasile sta discutendo. Il ministro dell’ambiente, Marina Da Silva, è stata costretta a dimettersi per avere avversato l’uso forsennato della privatizzazione idrica. Alcuni Stati, come il Mato Grosso, che produce soya e biocombustibile per le auto, vogliono la privatizzazione, altri Stati no. La discussione è in corso. In Italia invece, l’ 8 agosto del 2008 è stato stabilito, alla chetichella, che i Comuni sono obbligati a privatizzare i servizi idrici. I cittadini si sono rivoltati e hanno deciso di chiedere a gran voce un referendum. È giusto strapparglielo ora di mano?
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