Nel racconto più folle l’essenza della paura

by Editore | 22 Maggio 2011 6:48

Loading

«Le avventure di un uomo i cui principali interessi sono lo stupro, l’ultraviolenza e Beethoven». Già  in questa frase, scritta sui manifesti pubblicitari del lontano 1971, sono racchiusi lo scandalo, l’inquietudine, l’attrazione e il disagio che Arancia meccanica di Stanley Kubrick continua a provocare. Ancora adesso, a quarant’anni dal debutto nelle sale. Un film oggetto di un culto quasi feticista: giovani di varie generazioni, appassionati di cinema di qualsiasi età , autori di ogni latitudine, pronti a inchinarsi al suo fascino perverso. A dispetto del destino amaro che l’ha colpito, proprio nel Paese in cui fu realizzato: in Gran Bretagna è stato al bando per quasi tre decenni, e riammesso nel circuito distributivo solo dopo la morte del regista, nel 1999. Un lunghissimo black-out, a dispetto della potenza visiva che sprigiona. 
Il divieto non ha impedito, naturalmente, che tra i sudditi di Sua Maestà  Clockwork Orange – questo il titolo originale – circolasse comunque, in maniera clandestina: «Nelle videoteche di Londra negli anni Ottanta trovavi dei cartelli seminascosti in cui si annunciava la vendita in cassette importate da Parigi», ha raccontato, con una punta di nostalgia, il Sam Mendes di American Beauty e Revolutionary Road. In Italia invece la pellicola fu assolta in tribunale dall’accusa di oscenità , nel 1973; e quanto alla tv, è stata trasmessa per la prima volta da una rete generalista nel 2007, visto il divieto ai minori di diciotto anni. Ma adesso, per i fan di casa nostra, torna la possibilità  di una visione domestica di alto livello: la Warner Bros home video pubblica l’opera per la prima volta in Blu-ray, in una ricca edizione a doppio disco che comprende un libretto con foto di backstage rare e contenuti speciali in parte inediti. Con personaggi come Steven Spielberg o William Friedkin che raccontano il perché da questo capolavoro non si possa «fuggire». Perché guardarlo a occhi aperti – un po’ come quelli del protagonista Malcolm McDowell, nella celeberrima scena della visione oculare forzata – sia necessario, per assaporarne la forza eversiva. 
Un’energia che pervade già  lo script, tratto dall’omonimo romanzo di Anthony Burgess. La prima sceneggiatura, realizzata dallo scrittore e ancora più cruda di quella finale firmata dal regista (ne pubblichiamo un estratto in queste pagine, ndr), è saltata fuori solo poco più di una settimana fa: fornirà  agli studiosi ulteriori spunti sul mondo di Arancia. Ma, anche nella versione meno estrema sbarcata nelle sale, il film rappresenta una sfida impossibile. Trasporre in immagini – efficaci, mai viste prima – le avventure futuribili, grottesche e sgradevolissime della gang giovanile dei Drughi: ragazzi che si muovono come folli ballerini in un universo lisergico di sregolatezza e «ultraviolenza», con le altre persone viste come oggetti inanimati con cui divertirsi. Una scommessa vinta, per Kubrick. Un esempio su tutti: aver trasformato l’irruzione nell’abitazione di una coppia, con lo stupro di lei e il pestaggio di lui, in un momento cinematograficamente unico. Grazie a un escamotage in apparenza stonato, straniante: far cantare a McDowell Singin’ in the Rain durante l’intera, agghiacciante sequenza. 
«Stanley accettò la sfida – racconta Pollack, in uno dei due docufilm dell’edizione Blu-ray – per poter esplorare il nostro profondo, il nocciolo di tutto ciò che è primario. Tutto ciò che in noi è incivile». «E ci riuscì grazie al suo spirito camaleontico», aggiunge Spielberg. Mary Harron, la regista di American Psycho, coglie la perversione dell’operazione: «Rende lo spettatore complice delle aggressioni. È come se ti facesse avere un rapporto intimo con una persona orrenda». Mentre William Friedkin – che in quegli stessi anni diresse un altro cult, L’esorcista – sottolinea un aspetto cruciale: «Il vero nocciolo della violenza grafica di Arancia non è nel sangue, ma nel fatto che ti arriva all’improvviso in casa. L’idea che casa tua non è sicura è ben più inquietante di una sparatoria. È la più ancestrale delle paure». Troppo, per il pubblico? Il dubbio paralizzò perfino Kubrick: in un primo momento rifiutò di girare un film tratto dal libro, sostenendo che «nessuno andrebbe a vedere una cosa del genere, né la capirebbe». Qualche anno dopo, però, cambiò idea: un camaleonte come lui non poteva certo rifiutare la più impossibile delle scommesse.

Post Views: 162

Source URL: https://www.dirittiglobali.it/2011/05/nel-racconto-piu-folle-laessenza-della-paura/