Ministeri a Milano, scontro Lega-Pdl il premier cauto: spostare dipartimenti

Loading

ROMA – Il centrodestra implode sullo spostamento dei ministeri a Milano. Tutto il Pdl – non solo gli ex An e la componente romana – ora si schiera contro la Lega. Dal partito di Berlusconi si arriva a minacciare una crisi e il premier, che sabato aveva avvallato il progetto leghista, si trova preso tra due fuochi. Sul finire di una giornata drammatica, a soli sette giorni dai ballottaggi, il Cavaliere cerca di mediare tra i suoi e l’alleato padano ridimensionandone le aspirazioni: «A Milano arriveranno dei dipartimenti», afferma. Ma ormai è tardi. Bossi ha già  rilanciato. Finisce in una zuffa tutti contro tutti e perfino il governatore lombardo Roberto Formigoni dice di no ai dicasteri. Berlusconi non trova di meglio che riprendere a martellare su Pisapia e dire che comunque vada il voto meneghino «non avrà  alcun peso sulla vita del governo che finirà  la legislatura». 

Quello che va in onda è però un altro film. La faglia che scuote la maggioranza la aprono i capigruppo del Pdl. In una nota Gasparri e Cicchitto bocciano lo spostamento dei ministeri suggerendo di allacciare il governo al territorio «con conferenze periodiche fatte a Milano e a Roma fra i ministri economici e delle Infrastrutture con i presidenti di Regione e i sindaci». Seguono le dichiarazioni dei deputati pidiellini (come Osvaldo Napoli) e dei ministri (vedi la Meloni e La Russa) alle quali si somma lo stop dei Responsabili (per il ministro Romano le istituzioni devono «innanzitutto essere rese più efficaci») e le richieste di Forza del Sud di Miccichè («allora da noi ne devono arrivare tre»). Poi la Polverini e Alemanno tornano all’attacco chiedendo un incontro urgente con Berlusconi «per avere chiarimenti» e bollando la campagna leghista come «costose e inutili forzature elettorali».
Ma il carico da novanta ce lo mette il presidente lombardo Roberto Formigoni: «Lo spostamento dei ministeri non è la richiesta più pressante dei nostri imprenditori e dei ceti produttivi», scandisce il governatore del Pdl, «la mia regione non è interessata a qualche posto di lavoro ministeriale».
Parole che mandano su tutte le furie Bossi innescando un botta e risposta tutto interno al centrodestra che infiamma l’ultima domenica di campagna elettorale. Bossi e Calderoli rispondono che «nel Pdl comanda Berlusconi, lui ha detto di sì e quindi non si torna indietro, ci ha dato la parola». Dal Pdl continua il fuoco di fila, si alzano i toni e si arriva a dire che il decentramento non è nel programma e quindi si rischia di far saltare tutto. Formigoni interviene ancora e dice che «senza i voti del Pdl la proposta della Lega non va lontano». Bossi se ne infischia («lo faremo ugualmente») mentre Calderoli annuncia che «è la fine di Roma padrona, i governatori e i sindaci sono con noi». 
L’opposizione con Meta (Pd) sottolinea che lo scontro interno «azzoppa la Moratti» mentre Anna Finocchiaro sottolinea come «il colpo di scena della Lega ha solo messo a nudo il profondo dissidio interno al Pdl che ormai non è più disposto a morire per Berlusconi, la Lega e la Moratti». E se per il presidente della provincia di Roma, Nicola Zingaretti, «questa classe dirigente fa pena perché perde tempo su cose ridicole», l’Idv parla di «spot sciagurato». I finiani e Casini puntano il dito contro «un’idea ridicola». Nel tardo pomeriggio è costretto a intervenire anche Berlusconi. Prima sembra smontare le ambizioni leghiste parlando dello spostamento a Milano di semplici «dipartimenti», ma poi aggiunge che «alcuni ministeri possono andare a Napoli e in altre città , anche del Sud». Insomma, il premier non mette la parola fine alla polemica e lascia la sua maggioranza nel caos.

 


Related Articles

«Ha creduto di esser diventato il capo» E adesso Cl vuole il divorzio dal «Celeste»

Loading

 Nel movimento tanti si vantano di lavorare perché non nasca una lista con il suo nome

Il Professore «sale» sui manifesti 6X3 Ma (per ora) non c’è il suo volto

Loading

Mario Monti non finisce di sorprenderci. Per tutta la giornata di ieri c’è stata grande attesa per il varo del primo manifesto 6×3 con la sua effige. Una scelta che avrebbe sancito lo sbarco del Professore nella politica iperpersonalizzata delle campagne elettorali post-moderne. Alla fine il primo manifesto a lenzuolo della lista Monti, frutto della collaborazione con l’agenzia Red Cell del gruppo Wpp, è uscito, ma — sorpresa — senza il volto del leader. Per quello bisognerà  aspettare ancora un po’.

No comments

Write a comment
No Comments Yet! You can be first to comment this post!

Write a Comment