by Sergio Segio | 19 Maggio 2011 6:06
Oggi Antigone compie vent’anni. L’associazione «per i diritti e le garanzie nel sistema penale» è una costola del manifesto. Mauro Palma, presidente uscente del Comitato europeo contro la tortura e uno dei fondatori, racconta come e perché questa lunga storia è ancora dannatamente attuale.
L’associazione Antigone nasce nel marzo 1991. Quali furono le ragioni dei fondatori e quale era il contesto?
Antigone è stata la forma associativa data a un dibattito che coinvolgeva già da vari anni un largo gruppo di operatori del diritto, parlamentari, docenti, intellettuali critici attorno al tema dell’emergenza della giustizia in Italia e dei mutamenti intervenuti nel decennio precedente. Ma il tema forte su cui si avverte la necessità di costituire un’associazione è la percezione di un’inversione di rotta in quella che era stata una conquista di pieno adempimento del dettato costituzionale, con l’ordinamento penitenziario nel 1975 e successivamente nel 1986 (con la legge Gozzini) la sua revisione in senso estensivo delle forme alternative. Alla fine degli anni ’80, primi ’90 si sente il rischio di un rifiuto. In quel periodo c’erano molte pressioni per rivedere quelle leggi in senso restrittivo. Per questo, in difesa di quei principi ispiratori, nasce Antigone. Il panorama carcerario era ben diverso dall’attuale: i detenuti erano 30.000 a fronte dei 67.000 attuali, eppure già si capiva che la legge sulla droga da poco approvata e l’accentuazione sul tema della sicurezza avrebbero portato i numeri del carcere a crescere con rapidità e soprattutto avrebbero dato alla detenzione la fisionomia di strumento di gestione delle contraddizioni della società , invece che misura da riservare a un numero ben limitato di casi.
Proprio sulla sua origine, c’è una radice di contenuto nella scelta del nome: l’eroina di Sofocle. Perché?
Il nome deriva dalla rivista che quel gruppo aveva creato in collaborazione con il manifesto nella metà degli anni Ottanta. La rivista Antigone aveva come sottotitolo «bimestrale di critica dell’emergenza». La scelta del nome Antigone potrebbe essere letta anche in modo un po’ ambiguo, di prevalenza del diritto naturale sul diritto positivo: in realtà nella figura di Antigone, e dunque nella scelta del nome, noi indicavamo il ruolo centrale che l’eroina di Sofocle ha nella critica del potere. In questo continuavamo un lungo percorso di pensiero critico del diritto che ha attraversato il dibattito giuridico italiano e che ha continuato a caratterizzare l’approccio che negli anni l’associazione ha avuto rispetto alla giustizia penale e al carcere.
Perché il carcere?
Negli anni ’70 si iniziò a monitorare gli effetti che le nuove norme, a partire dalla legge Reale del 1975, producevano. Con Rossanda, Cacciari, Rodotà , Saraceni e altri costituimmo un Centro di documentazione sulla legislazione di emergenza che seguì e documentò in particolare il processo 7 aprile e il processo alle UCC romane: due casi emblematici dell’estensione abnorme della responsabilità penale e dei conseguenti effetti. Verso la metà degli anni ’80 venne la rivista, diretta da Manconi, che durò solo tre anni ma che diede un contributo notevole per far allargare il dibattito e superare la dicotomia che allora si presentava tra «irriducibili» e «collaboratori»: una via per chiudere con quel periodo dando comunque una prospettiva a chi era stato partecipe di un fenomeno che pur avevamo politicamente contrastato.
Ma il nome venne ripreso poi.
Quando nel 1991 costituimmo l’associazione, il riprendere quel nome significò collegarsi, in un mutato contesto, a quell’esperienza. In quel periodo il contributo dei Verdi, di Democrazia Proletaria, di singoli esponenti socialisti e anche comunisti – penso per esempio a Franco Russo, ma anche a Giuliano Vassalli, sempre ottimo e acuto consigliere, o a Nilde Jotti che patrocinò il convegno per l’abolizione dell’ergastolo, una delle prime iniziative della nuova associazione.
Dopo questa rievocazione, a distanza di vent’anni, quali sono secondo te le principali tappe, che hanno provocato un complessivo, profondo cambiamento dello scenario nel quale Antigone si muove oggi?
La situazione è mutata completamente. Noi siamo partiti dal volere tenere insieme la questione carceraria e la questione penale; in particolare la discussione attorno al nuovo codice penale: un tema che ancora attende di giungere a conclusione, ma che sembra cancellato dall’agenda politica. L’asse è sempre stato di tipo riduzionista: restringere l’area dell’intervento penale, per un diritto penale minimo, cioè limitato a laddove il ricorso penale sia effettivamente necessario e al suo interno restringere il ricorso alla pena detentiva. Molte di queste parole sono diventate oggi quasi slogan, apparentemente accettati da molti. Eppure si è avuta una produzione abnorme di leggi penali e il carcere si è esteso diventando sempre di più, come avevamo previsto, uno strumento di politica del territorio. Si è accentuata la sua caratterizzazione di luogo dove vanno a finire tutte le contraddizioni sociali irrisolte: dalla marginalità all’immigrazione irrisolta fino alla presenza alta di disturbi psichiatrici. Una fotografia di classe che registra il fallimento di altre politiche sociali. Non è però solo un bilancio in negativo, perché senza dubbio l’informazione sui problemi carcerari è cresciuta enormemente: nel ’91 le associazioni, che si occupavano di carcere erano poche e prevalentemente di impostazione assistenziale. Oggi sono molte quelle che si occupano di analisi e di elaborazione di progetti.
Qual è stato il rapporto di Antigone con le istituzioni. E come è cambiato, se è cambiato?
Antigone ha sempre cercato di essere elemento di coagulo di vari momenti di pensiero. Questi hanno riguardato l’elaborazione legislativa e dunque il confronto con i parlamentari, il confronto con le università , quindi con tutta quella parte relativa alla sociologia e alla filosofia del diritto, il confronto con magistratura e avvocatura, il confronto con chi ritiene che il problema della giustizia non vada relegato agli esperti, ma coinvolga tutti coloro che hanno a cuore la civiltà del nostro sistema. Antigone dialoga molto anche con l’amministrazione penitenziaria, tant’è che da molti anni è autorizzata a entrare negli Istituti per esaminare la situazione e produce biennalmente un Rapporto di questo suo Osservatorio. Voglio ricordare che già nel ’97 Antigone propose l’istituzione di un difensore civico per i detenuti: un dibattito da cui sono partite le varie esperienze di Garanti che agiscono per ora a livello locale e che, peraltro, ancora attendono una legge complessiva che ne definisca ruolo e poteri. L’altra interlocuzione che Antigone ha avuto, è con gli organismi internazionali che si occupano della tutela dei diritti delle persone private della libertà : lasciata la presidenza di Antigone, io sono divenuto membro per l’Italia del Comitato europeo che svolge questo compito e questo ha saldato il rapporto tra esperienza nazionale e dibattito europeo.
Mai incidenti con l’amministrazione?
Solo una volta e risolto in tempi brevi. Un’accusa nel primo anno di governo del ministro Castelli, in cui Antigone venne accusata di vicinanza con gruppi «anarco-insurrezionalisti». L’immediata solidarietà di un alto numero di parlamentari, di maggioranza e opposizione, produsse le scuse dell’amministrazione e il rinnovo della autorizzazioni per l’Osservatorio. Episodio chiuso.
Ma oggi com’è cambiato il confronto?
Direi che è rimasto positivo, nel senso che Antigone ha continuato ad essere considerata un interlocutore con cui confrontarsi. È cambiata però la qualità del dibattito e, quindi, anche dell’interlocuzione. Oggi è ben più difficile discutere di abolizione dell’ergastolo o del fatto che le pene edittali in Italia sono tra le più alte in Europa. Nel ’91 gli ergastolani erano poco più di 400, oggi sono il quadruplo, ma questo non indica né un numero più alto di reati da ergastolo, né una maggiore incisività delle indagini; al contrario la sensazione diffusa nel sociale è di un sistema quasi troppo mite. Non ci si interroga più sui tre quesiti fondamentali: perché punire, cosa punire e come punire. Il carcere è divenuto un elemento simbolico che è fa parte della ricerca di consenso elettorale, con campagne sulla risposta all’insicurezza sociale attraverso la promessa di una presunta maggiore sicurezza individuale. Si insegue la pancia di un senso comune insicuro promettendo durezza e ferocia, un po’ da tutti gli schieramenti. Per questo Antigone ha ampliato la sua attività rivolgendosi di più ai giovani, alle scuole, alla formazione di una diversa attenzione a questi problemi. Non a caso anche fra di noi sono mutate le generazioni degli aderenti, con l’adesione di molti giovani presenti nelle diverse regioni.
Oggi, maggio 2011, quali sono le principali linee di lavoro, che Antigone svolge, quali le forme per comunicarle?
Gli anni recenti hanno portato a interrogarci su episodi molto gravi, dai maltrattamenti a Bolzaneto, qualificati dallo stesso procuratore in aula come vere e proprie torture, a singoli casi, sporadici, ma gravissimi, che la drammatica vicenda di Stefano Cucchi ha portato alla conoscenza del grande pubblico. Nei Rapporti del suo osservatorio, Antigone ha dato notizia di episodi di violenza riportati da vittime o familiari, su cui chiede efficaci e accurate indagini, che tolgano una anche minima percezione d’impunità . In questo contesto tuttavia ha sostenuto la battaglia che associazioni più grandi, quali Amnesty International, portano avanti per l’introduzione nel nostro codice del reato di tortura. Un altro obiettivo prioritario è l’introduzione, in sintonia con quanto richiesto da un Protocollo alla Convenzione Onu contro la tortura che l’Italia ancora non ha ratificato, di un’autorità indipendente incaricata di monitorare con continuità tutti i luoghi di privazione della libertà . Contro la crescita del numero di detenuti, Antigone è impegnata a costruire una inversione radicale di tendenza, rispetto alle droghe, al reato di clandestinità , alla rilevanza della recidiva per l’accesso alle alternative. Ma il tema più ampio su cui dobbiamo ricostruire un dibattito, nel sociale e nelle istituzioni, è sullo spazio del penale, sul nuovo codice, sulla misura della pena, sul suo ruolo in stretta aderenza con il dettato costituzionale. È un grande tema culturale e politico, prima ancora di essere legislativo.
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Diritto penale minimo, sicurezza, carceri Oggi e domani due convegni a Roma
Oggi, giovedì 19 maggio, dalle ore 14.30, presso l’Università di Roma Tre (Facoltà di giurisprudenza, aula 2), via Ostiense 161, «Esecuzione della pena, titolarità dei diritti e strumenti di tutela», primo incontro che Antigone ha organizzato per festeggiare i venti anni dalla sua fondazione invitando magistrati, costituzionalisti, giuristi, garanti, esponenti di associazioni. Domani, venerdì 20 maggio, dalle ore 9.00, a Roma, alla Sala del Refettorio della Camera dei Deputati, il sociologo francese Loà¯c Wacquant, professore all’Università di Berkeley, aprirà il convegno: «Giustizia, sicurezza, carcere: gli ultimi vent’anni italiani». Interverranno, tra gli altri, Franco Ionta, Capo del Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria, che parlerà delle politiche della sicurezza e Giuseppe Cascini, Segretario Associazione nazionale magistrati, che, insieme a Valerio Spigarelli, Presidente Unione Camere Penali, discuteranno di politiche della giustizia. L’incontro è coordinato da Stefano Anastasia e Patrizio Gonnella, conclude Mauro Palma.
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