«Spagna, se gli indignados ‘premiano’ il nemico»

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Partiamo dagli ‘indignados’, che rifiutano etichette politiche e sono fortemente critici nei confronti della ‘casta’. Vanno letti come il segno di una crisi della sinistra spagnola o più in generale della politica?
«Possono essere letti come un sintomo della gravissima crisi economica che ha colpito la Spagna. E visto che al potere ci sono i socialisti, è inevitabile che il malcontento investa chi sta al governo e Zapatero in primo luogo. Ma c’è un elemento di paradossalità  nel fatto che questa protesta rischia di favorire la destra, che progetta lo smantellamento del welfare. Siamo al gatto che si morde la coda. E una situazione classica che si è ripetuta in tanti Paesi».

Quali?
«L’Italia, per esempio, dove strati popolari e operai si sono affidati a Berlusconi in un momento di difficoltà  economica. Ma sono finiti dalla padella alla brace. In Spagna non è certo il partito popolare a poter dare una risposta a chi oggi protesta in piazza».

La piazza predica l’astensione e critica il bipartitismo, tanto il Psoe che i popolari. Ma è Zapatero ad essere in picchiata nei sondaggi. Che cosa paga?
«Zapatero ha dato la sensazione di voler coprire l’entità  della crisi in un primo momento e dopo di non essere in grado, per mancanza di risorse, di dare una risposta».

Dopo una prima fase di riformismo laico, pressoché a costo zero, il governo socialista ha frenato. È solo la crisi ad aver determinato l’impasse?
«Zapatero ha già  detto che non intende ricandidarsi nel 2012. Lo ha fatto perché avverte l’usura di una guida che non è riuscita del tutto a mantenere le promesse fatte. La sua è una dichiarazione, se non di fallimento, quanto meno di estrema difficoltà , che non giova al Psoe. Non c’è dubbio che la Spagna abbia subito una crisi gravissima, ma il governo spagnolo sul piano economico ha lasciato la briglia sciolta alla speculazione finanziaria, soprattutto nel settore edilizio che aveva un ruolo trainante. Non ha avuto una propria progettualità . I risultati sono stati estremamente negativi. La disoccupazione oggi è al 21% (al 45% quella giovanile, ndr): sono dati di un disastro sociale».

Errori di Zapatero o c’è una debolezza intrinseca della sinistra che non ha saputo trovare una mediazione tra valori sociali e mercato?
«Qui il discorso andrebbe proiettato su una scala più ampia della sola Spagna. Di fronte all’ondata neoliberista e al crescente potere delle oligarchie economiche e finanziarie che oggi hanno provocato la depressione economica, la sinistra europea non ha saputo trovare alternative. A partire da Blair, ha finito per cavalcare l’ideologia del libero mercato. Che però nascondeva il dato di fondo, e cioè che il mercato, controllato dalle oligarchie, è tutt’altro che libero. Ora si comincia a riflettere. Lo fa la socialdemocrazia tedesca che guarda più a sinistra. In una certa misura anche il partito laburista britannico e i socialisti francesi. È solo un inizio, ma ancora manca oggi una vera cultura dell’alternativa politica, sociale e soprattutto economica».

Torniamo alla Spagna. Zapatero rischia di perdere con questo voto roccaforti storiche, come Barcellona e Siviglia. La sua uscita di scena potrebbe subire un’accelerazione?
«Se la sconfitta sarà  talmente profonda da screditare il governo è possibile che si aprano scenari imprevisti».

Non è già  sufficientemente drammatico per il Psoe essere contestato in piazza da laureati che si rifiutano di «essere schiavi per 700 euro al mese»? La sinistra ha forse bisogno di più sinistra?

«Potrei dire di sì, ma senza illudersi che basti uno slogan. Quello che serve è un progetto alternativo».


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