«Precarietà  e stipendi bassi, è la generazione degli eterni giovani»

by Editore | 24 Maggio 2011 6:25

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«La situazione è serissima, la preoccupazione è altissima perché i giovani, guadagnano poco e restano fuori dal percorso di carriera: con 1.200 euro al mese, se va bene, che possono fare? Tirano a campare o restano in casa» aggiunge Campiglio. «Eterni giovani» protetti dalla rete della famiglia destinata peraltro anch’essa a sfilacciarsi visto che come rivela sempre l’Istat sta calando la propensione al risparmio. E non perché gli italiani siano diventati improvvisamente cicale dopo una lunga tradizione di formiche. Ma perché una quota crescente di famiglie «non è più in grado di mettere i soldi da parte. O peggio deve intaccare le risorse accumulate» , facendo cioè «risparmio negativo» , in termini tecnici. La situazione di grave difficoltà  della generazione 20-35 anni sta rovesciando, secondo Campiglio, le leggi dell’economia. Perché è diminuita come numero (erano in 13.115.000 nel 2002 e sono scesi a 11.783.000 nel 2010) ma non ha aumentato il valore di mercato, visto che i redditi medi da lavoro di quella fascia d’età  sono molto più bassi rispetto a 10 o 20 anni fa. Ma cosa vuole dire essere poveri secondo la statistica? «Significa dover spendere il 65-70%del reddito totale a disposizione per i prodotti di prima necessità , indispensabili per vivere, dalla casa all’alimentazione ai trasporti necessari per andare al lavoro» . Da economista Campiglio descrive questa condizione come una forte «limitazione della libertà  di scelta dei consumi» . Come una sensibile riduzione della discrezionalità  della spesa. Insomma chi è povero non ha scelta: spende e consuma solo per sopravvivere. L’altra faccia del problema è la diminuzione della capacità  di risparmiare. «Stiamo attingendo alla nostra ricchezza, lo facciamo da dieci anni e non solo dalla crisi, ci stiamo impoverendo tutti in modo graduale e costante. Per fare fronte ai consumi e al progressivo invecchiamento della popolazione» . Ma c’è chi povero lo è già  con una peculiarità , non certo positiva, rispetto a chi vive nel disagio nel resto d’Europa: la situazione tende a migliorare meno che altrove a causa dei minori sostegni pubblici. L’insieme di strumenti d’aiuto al reddito — dagli assegni familiari all’indennità  di disoccupazione, all’integrazione per la maternità  o agli aiuti per l’acquisto della casa— in Paesi come Francia e Germania, dice Campiglio, abbattono la quota di poveri di 10-12 punti percentuali. In Italia al massimo di 5 punti. La social card? «È in attesa di ricarica per poter essere efficace» , risponde l’economista milanese. Secondo il quale sul fronte della miseria è sensibile il divario tra Nord e Sud ma anche quello esistente nelle singole regioni. Non solo, per fare un esempio, in Sicilia o in Calabria il disagio economico è più diffuso che in Lombardia. «Ma è anche più ampia la diseguaglianza nella distribuzione dei redditi, il solco tra poveri e ricchi» . Che fare dunque, per invertire la tendenza all’impoverimento che rischia di travolgere i giovani? Occorre «dare impulso alla crescita, rafforzare la produttività  e aumentare occupazione e salari» dice Campiglio, secondo il quale la leva da azionare per ripartire sono gli investimenti, in particolare quelli privati. 

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