by Editore | 14 Maggio 2011 6:44
OSLO— Il 21 aprile 1967, George Papandreou si vide puntare una pistola alla tempia. Aveva 14 anni. Era il giorno del golpe militare in Grecia. Un gruppo di ufficiali e soldati era venuto a casa sua per arrestare il padre Andreas, deputato dell’Unione di Centro e figlio del primo ministro in carica. Non trovandolo -si era nascosto sul tetto dell’edificio -presero il piccolo George. Lo portarono in terrazza e gli puntarono l’arma in testa, dicendogli che se non avesse rivelato dov’era il padre, lo avrebbero ucciso. Il ragazzo non disse una parola. Ma il padre, vedendo la scena dal suo nascondiglio, uscì e si fece arrestare. Sono passati 44 anni. George Papandreou è il premier socialista greco, come lo furono il nonno suo omonimo e il padre. E in circostanze diverse, anche adesso si ritrova con una pistola alla testa, per fortuna solo metaforica: vuoi per ragioni legittime, vuoi per motivi inconfessabili, a puntarla sono l’Unione Europea, il Fondo Monetario Internazionale, i mercati finanziari, l’opinione pubblica greca. Ognuno a suo modo preoccupato che la Grecia non riesca a uscire dalla profonda crisi finanziaria ed economica, in cui l’hanno precipitata 6 anni di scellerata gestione del governo conservatore. E ognuno pronto a scaricargli colpe di altri, come vuole la dura legge della politica. Papandreou è a Oslo per un convegno di Policy Network, il foro dove la sinistra di governo europea riflette sulle sue sorti in declino. È così signor primo ministro, è la stessa sensazione di un’arma puntata? «Non direi una pistola alla mia testa, ma un grilletto che rischiava di essere premuto contro l’intero Paese, per via della reale possibilità di una bancarotta. Siamo riusciti a evitare che ciò accadesse, guadagnando un po’ di tempo per realizzare i cambiamenti necessari a fare della Grecia un’ economia moderna, efficiente e sostenibile. Certo siamo ancora a un terzo del cammino, è trascorso solo il primo dei 3 anni del nostro piano di risanamento. Abbiamo ottenuto risultati importanti, ma è comprensibile che la gente sia angosciata: soffre e non può ancora percepire i miglioramenti. Dobbiamo continuare con volontà di ferro, non solo per tagliare il deficit, che è il sintomo, ma per affermare la trasparenza, eliminare la corruzione, ridurre l’evasione fiscale, rendere il sistema più equo» . Un anno fa avete ottenuto un pacchetto di aiuti da 110 miliardi di euro. Una delle assunzioni centrali del prestito era che nel 2012 il governo greco sarebbe tornato sui mercati per ri-finanziarsi, alla luce di migliori condizioni prodotte dalle riforme. È chiaro che ciò non sarà possibile. Cos’è successo, perché avete rallentato? «Avevamo fatto alcune previsioni. Fra queste, una recessione del 4%. Ma ne abbiamo avuto una più grave, che ha frenato la diminuzione del deficit. Eppure è stato ridotto del 5%, una cosa enorme sotto ogni standard. Abbiamo riformato il settore pubblico e le pensioni, ridotto le amministrazioni locali, il numero delle regioni, quello degli uffici governativi passati da 6 mila a 2 mila, aperto le professioni, reso più giusto il sistema fiscale, reso pubblico su Internet ogni euro speso dal governo, investito sull’energia rinnovabile e abbiamo un piano robusto per la privatizzazione e l’uso del demanio pubblico. Detto questo, il debito ereditato rimane troppo alto e ci vorrà tempo. I mercati sono scettici, ancora scottati dalla crisi del 2008, respingono ogni rischio: ciò ha avuto conseguenze negative per noi, ma anche per Irlanda e Portogallo. Inoltre per la prima volta operiamo nell’Eurozona, dove alla moneta unica non corrisponde una politica economica comune. È terra incognita: dobbiamo sicuramente fare altre correzioni, sia da parte nostra che da parte europea e lo vedremo a giugno a Bruxelles» . Lei ha citato le privatizzazioni, tema centrale delle critiche: riuscirete ad approvare il piano da 50 miliardi di euro e perché avete atteso un anno per tirarlo fuori? «All’inizio, le privatizzazioni non erano una priorità . Ora sono al primo posto dell’agenda. Dimostreremo che siamo in grado di onorare il servizio del debito, con una serie di progetti di sviluppo. C’è un consenso ampio sul nostro piano, anche da parte dell’opposizione e nell’opinione pubblica. Lo approveremo presto» . Molte cose sono state dette negli ultimi giorni: la Grecia uscirà dall’euro, chiederà la ristrutturazione del debito dichiarando di fatto parziale insolvenza. Può dire parole chiare in proposito? «È un anno che nei media si parla di ciò, ogni piccolo dettaglio viene amplificato, ogni giorno qualche nuovo esperto predice la catastrofe. Questa settimana la discussione è diventata quasi isterica. Non veniva da noi, né dall’Ue: la decisione è stata presa, è nell’interesse di tutti, che la Grecia continui il suo programma. Noi andremo avanti. Non faremo default e non lasceremo l’Eurozona. Queste due ultime opzioni non esistono, creerebbero problemi troppo grandi non solo per noi, ma per l’Europa» . Ma sareste disposti, come qualcuno chiede, a offrire le privatizzazioni come collaterali a garanzia del nuovo prestito da 60 miliardi, che si dice stiate negoziando? «Come ha detto, tutti pensavamo che nel 2012 avremmo potuto rivolgerci nuovamente al mercato. Ora alcuni dicono che a causa del clima, degli spread troppo alti, questo sarà impossibile e quindi avremo bisogno di altri aiuti. Io spero che ciò non accada, che potremo andare sul mercato almeno parzialmente, visto che nel 2012 avremo qualche riserva in più. Vedremo: non siamo noi a decidere come reagiranno i mercati. Alcuni Paesi hanno detto che dovremmo offrire dei collaterali. È un suggerimento, ma non è chiaro cosa significhi in pratica: o si privatizza, o si collateralizza. Voglio aggiungere una cosa, cui siamo molto sensibili: chiederci un’isola o un monumento come garanzia è quasi un insulto. La gente si aspetta che la nostra parola e le nostre azioni siano garanzia sufficiente» . Appoggerete la candidatura di Mario Draghi alla presidenza della Banca Centrale Europea? «Ho solo sentito cose eccellenti su Draghi. Le sue capacità sono incontestate. La Grecia è pronta a sostenerlo» . Lei è stato il primo uomo politico a mettere la Grecia davanti alla realtà , dicendo verità scomode anche contro la storia del suo partito. Un anno dopo i sondaggi le sono contro, l’Europa le contesta di non aver fatto abbastanza: si sente solo in questa battaglia? «Ognuno di noi ha la responsabilità di prendere decisioni difficili, in base a cosa pensa sia giusto o sbagliato per il proprio Paese. Certo il cambiamento non è semplice, anche se molti lo chiedono. Gli interessi costituiti si sentono colpiti, i beneficiari non vedono ancora i risultati. È proprio in questi momenti che bisogna tenere la rotta: abbiamo ereditato grandi problemi, ma abbiamo anche una grande opportunità per cambiare la Grecia» . Quanto ha contribuito ad amplificare il problema greco il modo di funzionamento dei mercati mondiali? «Noi dovevamo agire. Ma il modo in cui funzionano oggi i mercati non lascia alcun margine di respiro per fare i cambiamenti. È qui che la politica deve intervenire. I mercati sono forti non solo teoricamente: ci sono persone, interessi, denaro, lobbies che scommettono contro un Paese. Nell’economia globalizzata, la contraddizione è che i politici sono eletti per le loro nazioni, ma le decisioni e il potere sono scivolati via dagli Stati verso una sfera globale, che sfugge ancora a una regolamentazione. C’è un deficit democratico. Ecco dove l’Europa può svolgere un ruolo più forte, perché ha valore aggiunto: lavoriamo ancora troppo nelle sfere nazionali, l’Europa deve impegnarsi invece in una risposta collettiva ai mercati, per ordinarli e renderli meno erratici» .
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