Lo scalatore freddo e silenzioso conquista la sua vetta più alta

by Editore | 17 Maggio 2011 6:50

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BRUXELLES – Rispetto ai potenti di oggi, Mario Draghi, presidente in pectore della Bce, sembra ritagliarsi un profilo alla rovescia: massima riservatezza, niente esagerazioni o vistosità , nessuna esibizione dei simboli del potere. Se potesse, questo tecnocrate di 64 anni che da sei guida la Banca d’Italia, vorrebbe essere trasparente. Un’ombra sul fondale dei vertici internazionali o al massimo accanto al ministro di turno. 

Così, quando è a Roma, nel week-end gira in macchina con la moglie Serena alla guida. Se c’è il sole, passeggia a villa Borghese con il cane, un bracco ungherese. Ai Parioli, il suo quartiere, fa la spesa al mercato rionale scegliendo con cura cicoria e melanzane, le verdure preferite. Capita pure di vederlo in fila dal macellaio gourmet per acquistare il maiale, che sa cucinare come nessuno. Se viaggia in treno, opta per la seconda classe. Non disdegna i voli low cost. È un salutista: non fuma, beve al massimo un bicchiere di vino rosso al giorno e va in palestra. Di tanto in tanto per mantenersi in forma, mangia le “barrette” come pasto sostitutivo. 
D’estate, adora arrampicarsi in montagna, quando non si ritira al mare nella casa di Lavinio, a due passi dalla capitale. E ora che è da poco nonno, appena gli impegni glielo consentono, corre dalla nipotina: dicono che se ne stia sdraiato sul pavimento a giocare con lei per ore. Il Draghi pubblico, quello più conosciuto, è soprannominato super Mario: perché lavora senza sosta, gira il mondo come una trottola e tratta con la massima naturalezza e una riconosciuta competenza tecnica le questioni dell’euro come quelle del nuovo ordine finanziario post crisi, che sta ridisegnando per conto del G20. Parla un inglese perfetto. Anche all’estero preferisce uno stile sobrio: gira in taxi, sceglie hotel non di lusso, va da solo al ristorante, così nessuno lo disturba e si sbriga prima. 
Sul piano fisico ha la curiosa caratteristica dell’atermicità : non indossa mai il cappotto, anche con temperature sotto zero. Narra la leggenda di casa Draghi che incontrandolo la prima volta e credendolo povero, il suocero gli allungò dei soldi perché si comprasse un soprabito. Con qualche forzatura giornalistica questa sua peculiarità  può essere messa anche in relazione al carattere: sangue freddo, determinazione e grande capacità  di adattamento. Il suo curriculum ne è lo specchio.
Al Tesoro per esempio, dove è stato per due lustri direttore generale, impegnato a decidere le privatizzazioni e a tessere la tela per portare l’Italia nella serie A dell’euro, come si diceva allora, lo volle per la prima volta Andreotti nel 1991. Ma poi lo confermano, nell’ordine: Amato, Ciampi, Berlusconi, Dini, Prodi, D’Alema; poi ancora Amato e di nuovo Berlusconi. Con il che appare evidente l’inesorabile procedere di una carriera che attraversa quattro legislature, qualsiasi maggioranza e formula di governo. Sempre Berlusconi lo seleziona per il vertice della Banca d’Italia, al termine degli scandali dell’era Fazio: era il 29 dicembre del 2005. Draghi, che ha una lunga esperienza all’estero tra Washington e Londra, è il nono governatore nella storia centenaria dell’Istituto, il primo “a tempo”: sei anni, rinnovabili una sola volta. Rompe anche un’altra tradizione: non viene “da dentro”, ma è un esperto autonomo, quasi esterno alla Banca se si esclude una breve consulenza con Ciampi al vertice. L’unico altro legame ha a che fare con suo papà  Carlo che ha lavorato con Menichella. E tuttavia, come gran parte dei suoi predecessori, riduce al minimo le apparizioni pubbliche, centellina le interviste. I giornalisti lo intimidiscono: e lo dice, anche. Ci tiene però a spiegare loro in via informale i problemi tecnici e il contesto in cui maturano: l’opinione pubblica va informata correttamente. Nel braccio di ferro che precede la sua nomina alla Banca d’Italia è accusato di aver svolto un ruolo chiave nella vicenda del Britannia, l’ex yacht della famiglia reale inglese divenuto simbolo della presunta o pretesa “svendita” delle partecipazioni statali. Suscitano polemiche i suoi tre anni alla Goldman Sachs, la banca d’affari di cui è vicepresidente fino all’arrivo a palazzo Koch: Draghi vende azioni e opzioni e piazza i proventi in un blind trust, un fondo cieco. Ora s’appresta a partire per Francoforte: salvo sorprese, sarà  il primo presidente italiano della Bce, il terzo nella storia dell’Istituto.

 

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