Libia, fatwa su Italia e Occidente “Mille morti per ogni imam ucciso”

by Editore | 15 Maggio 2011 6:46

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Con l’imprimatur del Regime, una voce dalla Libia torna a minacciare immani lutti per l’Italia e con lei la Francia, la Danimarca, la Gran Bretagna, il Qatar, gli Emirati Arabi. E se esattamente due settimane fa era stato Muhammar Gheddafi ad agitare il fantasma della “guerra” nel cortile dell’Europa, questa volta a pronunciarsi è uno sconosciuto imam, Noureddin al-Mijrah, che, ieri, sotto lo sguardo vigile del portavoce del governo di Tripoli, Moussa Ibrahim, ha chiesto vendetta per la morte di 11 imam, uccisi nei bombardamenti Nato di venerdì all’alba nella città  di Marsa-el Brega. Con le forme e l’enfasi della “fatwa”, Noureddin al-Mijrah ha invitato «i musulmani del mondo intero» a lavare il sangue degli undici religiosi con le vite di 11 mila “infedeli” cittadini dei “Paesi aggressori”, 1000 per ogni imam. Mentre in un cimitero a Chatia al Henchir, a est di Tripoli, il Regime celebrava funerali di propaganda. Tra le quinte di una folla che, sorvegliata dal generale Khoulidi al-Hamidi, fedelissimo del Colonnello, al grido di ‘‘Jihad, Jihad”, ‘‘Martiri della Libia” e ‘‘Dio, la Libia e Muammar”, sparava colpi in aria e innalzava al cielo, sorretti dalle mani di una ventina di donne, ritratti di Gheddafi.

Su questa sponda del Mediterraneo, la minaccia che arriva da Tripoli, dove oggi arriverà  l’inviato speciale dell’Onu Abdul Ilah al-Khatib, pur roboante nei toni, scivola tuttavia come acqua sul vetro. E non sembra modificare di un nulla né l’analisi, né le convinzioni che, da settimane ormai, accompagnano le operazioni militari della Nato e il lavoro delle Intelligence occidentali. Che il Regime sia ormai allo stremo. E le sue minacce, l’indice della disperazione del Colonnello. A Bruxelles, nel quartiere generale della Nato, l’Alleanza, con un comunicato, liquida dunque la morte degli 11 imam a Brega come l'”effetto collaterale” (per altro «non confermabile») di un bombardamento «che non intendeva provocare vittime civili» (sedici in tutto, secondo quanto riferito dal governo libico) e comunque «diretto su un centro di comando e controllo delle forze armate». Quasi a lasciare intendere che se un responsabile di quelle morti esiste, va cercato in chi, nel Regime, ha deciso di proteggere obiettivi militari facendosi scudo di civili e religiosi. Mentre a Parigi (dove ieri Nicolas Sarkozy ha incontrato, reduce dai suoi colloqui a Washington, il numero uno del Consiglio di transizione libico Mahmoud Jibril) il ministro degli esteri francese Alain Juppé parla di un «Regime finito», di un conflitto la cui durata, «si misura ormai in settimane e non mesi». 
A Roma – dove per altro non si segnala nessuna modifica nel dispositivo di prevenzione ormai attivo dal giorno in cui il conflitto libico ha avuto inizio – la musica non è diversa. «Le parole di Noureddin al-Mijrah – chiosa una fonte di vertice del nostro controspionaggio – confermano, ammesso ce ne fosse bisogno, che il Regime è ormai con un piede nell’abisso. La “fatwa” di Tripoli, sempre che si possa definire tale, è un affondo disperato della propaganda. Arriva nei giorni del successo diplomatico del tour in Occidente di Jibril, che dimostra l’ulteriore e definitivo rafforzamento del Consiglio di Transizione. E per altro, nel silenzio delle autorità  religiose egiziane, le uniche ad avere un peso nei luoghi di culto del nostro Paese e dell’Europa intera, la capacità  di presa della Fatwa sulle comunità  musulmane in Occidente è pressoché pari a zero». Un giudizio, questo, che trova conforto al Cairo. Nelle parole pronunciate da Abdel Mouti al-Bayoumi, membro del Comitato dei ricercatori dell’università  di al-Azhar, una delle massime istituzioni islamiche mondiali. «Quella pronunciata a Tripoli – dice al-Bayoumi – non è una Fatwa. È propaganda di qualche religioso vicino al regime del colonnello Muhammar Gheddafi. Se la Nato pensava di bombardare un edificio militare, allora si è trattato di un errore. E secondo la Sharia, la morte per errore prevede un risarcimento in denaro, la deya, pari al valore di quattro chili d’oro. Il punto è che Gheddafi deve lasciare il potere e cederlo al popolo».

 

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