L’Egitto riapre il valico di Rafah, ma continua l’embargo alla Striscia di Gaza
La decisione dell’autorità egiziana di riaprire quotidianamente il passaggio di Rafah – ripresa immediatamente dai principali quotidiani e media mediorientali – rappresenta un nuovo passo decisivo che influenzerà l’effettiva riconciliazione tra i due partiti palestinesi di Hamas e Fatah, pronti in teoria a dar vita a Gaza e in Cisgiordania a un governo di unità nazionale.
Secondo il dispaccio dell’agenzia di stampa statale egiziana “Mena” il provvedimento ha carattere “permanente” ed è parte degli sforzi del Consiglio supremo delle Forze armate al potere al Cairo da febbraio di “porre fine alle divisioni palestinesi e ottenere una riconciliazione nazionale”. La chiusura del valico, disposta dal governo del presidente egiziano Hosni Mubarak, era da subito apparsa organica all’embargo israeliano tutt’ora in vigore nei confronti di Gaza – riporta l’agenzia Misna. Una revisione della politica del Cairo era stata suggerita giorni fa dal ministro degli Esteri Nabil El Araby, che aveva definito “disgustosa” la scelta di chiudere Rafah.
A partire da sabato 28 maggio, dunque, il passaggio che collega l’Egitto alla Striscia di Gaza, unico punto di transito alternativo al checkpoint di Erez controllato dagli israeliani, rimarrà aperto tutti i giorni dalle 9 del mattino alle 5 del pomeriggio, esclusi i venerdì e le festività nazionali.
Come dichiarato dalla portavoce del Ministero degli Affari Esteri egiziano, Minha Bakhoum, “l’apertura del valico di frontiera con Gaza ha l’obiettivo di alleviare le sofferenze della popolazione palestinese”. Per il momento non sarà comunque possibile introdurre materiali per la costruzione, e potranno passare il confine, senza il bisogno di un visto, solo donne e uomini con meno di 18 o più di 40 anni. Potranno, inoltre, recarsi in Egitto studenti regolarmente iscritti a un’Università egiziana.
Certamente l’apertura di Rafah, anche se permanente, non potrà rappresentare una soluzione definitiva alle problematiche della Striscia di Gaza e alle condizioni di vita nella stessa. “L’embargo non è terminato” – denuncia Mustafa Barghouti, attivista palestinese. “I materiali per la costruzione sono ancora proibiti, il che significa che le 25.000 case distrutte durante la guerra non potranno essere ricostruite”.
Anche secondo il Palestinian Center for Human Rights, l’apertura, pur rappresentando una novità positiva che migliorerà la libertà di movimento degli abitanti, offrendo nuove e maggiori possibilità a tutti i gazawi, non risolverà tutta una serie di questioni, tra cui la problematica situazione economica nella Striscia. “La nuova politica riguarda il movimento delle persone e non include le transazioni commerciali. Pertanto tali procedure non allevieranno le sofferenze della popolazione civile” – dichiarano i portavoce, precisando che “la Striscia di Gaza rimane un territorio occupato controllato dalle forze di occupazione israeliane”. Secondo l’associazione, inoltre, la decisione egiziana, per quanto apprezzabile, non esonera la comunità internazionale dalla responsabilità di esercitare pressione sullo Stato di Israele affinché venga rispettato il diritto internazionale.
“In seguito alla chiusura dello spazio aereo, delle acque territoriali e del passaggio di Erez da parte di Israele, il confine di Rafah rappresenta l’unica porta per il mondo esterno per un milione e mezzo di palestinesi residenti a Gaza” – sostiene l’organizzazione Gisha in un comunicato rilasciato in seguito alla decisione egiziana. Il prossimo passo, secondo i portavoce, “dovrà essere il passaggio di beni e persone tra Gaza e la Cisgiordania”.
Non è detto, perciò, che alla prossima Freedom Flotilla sarà consentito di raggiungere Gaza senza problemi: il governo israeliano non ha preso bene la novità e il vice premier israeliano, Silvan Shalom, ha subito dichiarato che la riapertura del valico di Rafah, rappresenta una “sviluppo pericoloso” e per questo ha richiesto il dispiegamento sul posto di osservatori internazionali. “Questo è uno sviluppo pericoloso che può favorire l’ingresso di armi e di membri di al Qaida nella Striscia” – ha affermato Shalom alla radio israeliana.
Intanto in Israele, per ribadire che il governo non è interessato ad alcun accordo di pace, il giorno dopo il discorso del premier israeliano Benjamin Netanyahu al Congresso americano è stato dato il via all’inaugurazione di una nuova colonia a Gerusalemme Est, la parte palestinese della città , destinata a diventare capitale del futuro stato palestinese. La colonia di Ma’aleh Zeitim dovrebbe ospitare 110 famiglie rigorosamente ebraiche e con la colonia e con la colonia di Ma’aleh David (altre 90 famiglie) in progetto proprio accanto, dovrebbe diventare la colonia ebraica più grande di Gerusalemme Est – riporta AgoraVox. La costruzione di colonie nei territori occupati è proibita dalle leggi internazionali, ma Israele da tempo ha deciso di procedere con la colonizzazione per poi dirsi impossibilitato a spostare i coloni quando si tratta di discutere i confini del futuro stato palestinese.
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