Le bombe a grappolo ora sono davvero vietate L’Italia non potrà  più produrle né venderle

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ROMA – La notizia è stata inghiottita dai titoli sulle amministrative e sugli smottamenti nel governo, ma in altre circostanze – e forse in altri Paesi – avrebbe meritato approfondimenti in prima serata: da ieri, l’Italia ha messo fuori legge le munizioni a grappolo, che se esistesse un campionato di crudeltà  tra le armi in commercio lo vincerebbero a spasso. Se le cosiddette bombe intelligenti sono pensate per colpire un obiettivo specifico, le cluster hanno esattamente la finalità  opposta: colpire a casaccio, che sia un campo di battaglia o un campo di grano, che la guerra sia in corso o che sia finita da anni, che la vittima sia un soldato col bazooka o un bimbo col pallone. Lanciate dall’alto, nella traiettoria si sparpagliano dove capita e si fermano lì, spesso inesplose, finché qualche sventurato non le pesterà .

Non si possono più produrre né vendere. La Convenzione di Oslo, nel 2008, le aveva vietate, lasciando però agli Stati firmatari il compito di recepire il divieto nel proprio ordinamento: qualcuno lo ha già  fatto da tempo, qualcun altro – tipo Stati Uniti, Russia e Cina – non ha neppure firmato la Convenzione. L’Italia ci ha messo tre anni per ratificarla, ma ce l’ha fatta, e da oggi cambia qualcosa: nel nostro territorio le munizioni a grappolo non si possono più produrre, né trasferire, né vendere, né stoccare; le scorte esistenti vanno distrutte, tranne una minima parte utilizzabile nelle esercitazioni per lo sminamento; siamo obbligati a bonificare i territori infestati ed a fornire assistenza alle vittime.

E La Russa si è dirato dall’altra parte. Avevo posto il problema alla Camera qualche mese fa, presentando una proposta di legge “pluripartisan” che aveva raccolto 86 firme: deputati di Centrosinistra, di Centrodestra, del Terzo Polo e del gruppo misto. Ma le firme, da sole, servono a poco e va riconosciuto al governo di aver lavorato perché questo testo arrivasse in Aula; in particolare, il merito va al ministero degli Esteri, che ha preso a cuore il tema ed ha trovato un po’ di fondi per la copertura, mentre il ministero della Difesa – che pure dovrebbe sapere quanto sia fondamentale l’opera quotidiana dei nostri soldati per lo sminamento delle cluster in Libano – si è girato dall’altra parte. Ne è venuto fuori un disegno di legge governativo sufficiente a portare a casa un risultato, ma decisamente minimalista rispetto alla mia proposta iniziale: con un po’ di coraggio, si sarebbe potuto fare di più.

Le lacune della legge. Sul fronte cassa, ad esempio, la metà  vuota del bicchiere ci dice che – mentre i tagli alla cooperazione proseguono, in spregio a tutti gli impegni presi in sede internazionale con l’Onu – il testo approvato ieri non prevede risorse adeguate per aiutare le vittime delle munizioni a grappolo: servono almeno altri 2 milioni di euro, più o meno il prezzo di una villa a Lampedusa su un terreno di proprietà  del demanio, ma il presidente del Consiglio stavolta non li ha trovati. Poi c’è un’altra lacuna della norma, che poteva essere facilmente colmata: a differenza della legge che il Parlamento approvò 14 anni fa, recependo la Convenzione di Ottawa sulle mine antipersona, in questo caso non c’è nessun obbligo di denuncia a carico di chi dispone di diritti di brevetto o di tecnologie idonee alla fabbricazione di munizioni a grappolo.

Le scappatoie possibili per fabbricarle ancora. È vero che al momento non risultano aziende italiane produttrici; è vero che esiste un divieto di produzione di questi ordigni sul territorio nazionale; può accadere, però, che le tecnologie o i diritti di brevetto esistenti vengano ceduti da un titolare italiano ad un’azienda americana o cinese, e sarebbe stato opportuno vietarlo. Infine, il tema dei finanziamenti: può una banca italiana – o un intermediario italiano – finanziare la produzione di munizioni a grappolo in Russia? In molti altri Paesi europei ciò è espressamente vietato, da noi no; eppure, non ci voleva molto a prevedere un controllo della Banca d’Italia. Tutti questi miglioramenti del testo, contenuti nella mia proposta di legge iniziale e tradotti in emendamenti al ddl governativo, sono stati respinti dalla maggioranza; li ho così trasformati in ordini del giorno, che il governo ha accolto come raccomandazioni. Toccherà  insomma vigilare perché, da qui a fine legislatura, si riprenda in mano l’argomento e non lo si lasci cadere.

11 mila morti l’anno: 98% civili; 1/4 bambini. Ma è soprattutto su un altro fronte che attendiamo sforzi concreti dalla nostra diplomazia: se non faremo pressione anche sugli Stati più refrattari alla firma, per convincerle a sottoscrivere la Convenzione ed a recepirla nel proprio ordinamento, le armi a frammentazione continueranno a provocare stragi di innocenti, come sta avvenendo oggi in 23 aree di guerra e come probabilmente avverrà  ancora. Degli 11 mila morti l’anno per le cluster, il 98 per cento sono civili, e un quarto sono addirittura bambini: insieme alle vittime, è il caso di dirlo, saltano in aria anche le norme di diritto umanitario, ed è su questo punto che ci aspettiamo dal governo un’azione incisiva in sede internazionale.

* Andrea Sarubbi è deputato del PD


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