«Corridoi umanitari per aiutare i disperati in fuga dalla Libia»

by Sergio Segio | 10 Maggio 2011 9:05

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Di fronte ai drammatici avvenimenti di questo fine settimana, e anche alla luce di quanto denunciato dal Guardian, l’impegno prioritario dell’Italia e degli altri Paesi dell’Unione Europea dovrebbe essere quello di realizzare in tempi rapidi una evacuazione umanitaria per tutti i rifugiati presenti in Tunisia, ai confini della Libia». A chiederlo è Christopher Hein, direttore del Cir (Consiglio italiano per i rifugiati), autore del libro «Rifugiati. Vent’anni di storia del diritto d’asilo in Italia». «Ormai è chiaro, per evitare che i rifugiati continuino a mettere a rischio la loro vita per arrivare in Europa, dobbiamo dare loro delle alternative di ingresso protetto rileva Hein altrimenti l’unica alternativa che offriremo loro è quella di attraversare un mare che continua a inghiottire vite. E non credo che questa sia una posizione più sostenibile per Paesi democratici e civili». Barconi affondati, soccorsi mancati, carrette del mare alla deriva.. Il Mediterraneo si sta trasformando in un mare infernale…
«Da molte settimane, precisamente dal 28 febbraio, come Cir abbiamo sollecitato non solo il Governo italiano ma tutti i governi degli Stati membri della Ue e le istituzioni dell’Unione -la Commissione europea e la presidenza del Consiglio europeoa procedere con l’evacuazione umanitaria immediata dei rifugiati subsahariani presenti in Libia, Perché già  allora era prevedibile che queste persone non potevano rimanere in Libia e non potevano rimpatriare. E quindi non restava loro che un’alternativa…». Quale?
«Mettersi sui barconi, rischiando la vita, oppure cercare di raggiungere la Tunisia. L’altro elemento che sapevamo già  era che Gheddafi avrebbe fatto il possibile per spingere, anche con la violenza, queste persone a imbarcarsi verso l’Europa…».
È la «guerra dei barconi» raccontata da l’Unità … «Tutti sapevano di questa situazione, ma solamente l’Italia, in due piccole operazioni durante il mese di Marzo, ha evacuato un totale di 115 rifugiati eritrei…».
Ben poca cosa rispetto alle dimensioni del fenomeno… «Indubbiamente si è trattato di un aiuto molto limitato. Si tenga presente che non si tratta di un numero molto elevato di persone, considerando che i cittadini subsahariani in Libia sono una piccolissima minoranza all’interno della stima di 1,5 milioni di stranieri presenti nel territorio libico. Oggi, di fronte all’ennesima tragedia che si è consumata questo fine settimana a poca distanza dal porto di Tripoli e a quella evitata in extremis nelle acque di Lampedusa, dobbiamo affermare con forza che quella tragedia era evitabile e che ci sono precise responsabilità  politiche per non aver permesso l’arrivo protetto di questi rifugiati». Un altro tema scottante è quello dei soccorsi in mare…
«Già  quando è iniziata l’operazione “Hermes” di Frontex, abbiamo detto e oggi ribadiamo che Frontex dovrebbe coordinare le operazioni di salvataggio in mare e mettere a disposizione le sue capacità , anche di intelligence, quanto meno per ridurre il rischio dei naufragi…». Ma questo impegno, visto che con la guerra in Libia il Mediterraneo è un mare militarizzato, non dovrebbe riguardare anche la Nato?
«Certo che sì. Va sempre ricordato che anche le navi militari, alla pari di quelle commerciali e ai pescherecci, hanno l’obbligo di prestare soccorso in mare».
Cosa fare nell’immediato?
«Dalla Tripolitania oggi difficilmente si può pensare ad una evacuazione umanitaria. Una evacuazione pos-
sibile dovrebbe essere fatta per i subsahariani presenti in Tunisia, al confine con la Libia. Questo darebbe anche un segnale di speranza ai rifugiati tuttora presenti nel territorio della Tripolitania (controllato dalle milizie fedeli a Muammar Gheddafi, ndr) per cercare di raggiungere la Tunisia…».
È questa la richiesta più pressante da rivolgere all’Unione Europea? «Direi proprio di sì. È un impegno che richiede la massima urgenza nella sua attuazione se si vuol davvero prevenire altre tragedie del mare».

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