by Editore | 1 Maggio 2011 7:30
Sembra essere il paradosso che vivono gli italiani. Una condizione non nuova per la verità , ma in forte accentuazione nell’ultima fase. Nonostante tutto ciò, l’unità nazionale non appare in discussione. Anzi, proprio nei momenti di tensione più intensi, quando le fratture si allargano, gli italiani sembrano rivalutare l’importanza di essere uniti. Riscoprono il valore e i valori della coesione. Insomma, si sentono italiani. Italiani nonostante e contro chi ne mette in discussione l’unità . Ma anche disattenti e poco appassionati, in tempi normali. Normalmente divisi per storia e tradizione, geografia e politica. Uniti per istinto, abitudini e pratiche sociali. Mai come in questo momento il nesso tra unità e divisione è apparso visibile. Forse perché il 150enario ha costretto tutti ad interrogarsi sulla questione, senza eluderla. La società e la politica si sono trovate di fronte ad un evento che ha offerto uno spazio inedito sia alle polemiche sia alle espressioni di solidarietà e di sostegno intorno ad un tema tradizionalmente messo fra parentesi. Lo stesso, acceso, dibattito sulla riforma federalista ha contribuito inevitabilmente a richiamare il nesso fra coesione e divisione. Fra appartenenza nazionale e sentimento localista. L’in-decisione che ha accompagnato la decisione di proclamare il 17 marzo scorso giorno di festa (nazionale) è la testimonianza di questo clima incerto sul riconoscimento dei valori connessi alla questione nazionale. In questo scenario il territorio è diventato un fattore sempre più forte nelle dinamiche rivendicative. Ed è utilizzato ormai non solo dalla Lega Nord, ma anche da altre formazioni politiche che ne hanno fatto una bandiera per dare spessore a identità , interessi e istanze particolari. È come se unità e divisioni si tenessero insieme, nel “carattere nazionale”. Tutto ciò è possibile osservarlo anche attraverso i sondaggi di opinione, che rilevano gli orientamenti dei cittadini, quindi i loro giudizi e pregiudizi. In questa numero di LiMes facciamo riferimento alla ricerca “Gli italiani e l’Italia” svolta recentemente da Demos per Intesa Sanpaolo. Italiani e… Quando si chiede agli italiani a quale area territoriale si sentano emotivamente più vicini gli orientamenti appaiono piuttosto sfrangiati. Il contesto sub-nazionale raccoglie quasi la metà delle indicazioni (47%) che si dividono tra la città dove vivono (17%), la regione (12%) o la macroarea (Nord, Centro, Sud: 18%). Il legame con il contesto nazionale, l’Italia, viene segnalato dal 28% degli intervistati. Un’identità sovranazionale e di tipo cosmopolita segna invece un cittadino su quattro. Ma se consideriamo il totale delle due risposte che gli intervistati potevano indicare, emerge in modo piuttosto chiaro che il riferimento nazionale, l’Italia, è quello più segnalato in assoluto. Metà dei cittadini (49%) afferma di provare un legame forte, al punto che se non lo indica come primo lo esplicita come secondo. Il localismo non costituisce dunque un’identità oppositiva alla dimensione nazionale. Anzi, negli orientamenti dei cittadini è largamente diffusa la tendenza a riassumere l’identità locale nella cornice di quella nazionale. L’Italia diventa così il principale dei contenitori di significato. Per cui in Italia non ci si dice romani, vicentini, urbinati, torinesi, veneti, siciliani, napoletani, lombardi, milanesi, toscani, fiorentini, pugliesi… o italiani. Ma e italiani. Milanesi e italiani. Napoletani e italiani. Bolognesi e italiani. Marchigiani e italiani. Oppure, viceversa, italiani e romani, …e catanesi, …e milanesi. Al tempo stesso. Senza contraddizione. Locale e nazionale, in un’unica composizione. Un popolo di …e italiani oppure di italiani e… I fondamenti della appartenenza. Ma il sentimento di appartenenza è qualcosa di ben più complesso di una semplice identificazione di tipo territoriale. Il territorio assume significato perché è il luogo delle relazioni, delle tradizioni, della cultura. È l’ambito in cui operano le istituzioni dello Stato. Ma la dimensione politico-istituzionale continua, nel suo insieme, ad essere un riferimento debole per l’identità nazionale. Offre, cioè, solo agganci marginali all’idea del “noi”. Se osserviamo la graduatoria dei caratteri che secondo gli intervistati distinguono meglio gli italiani rispetto agli altri popoli emerge un profilo ormai noto. La famiglia (43%), il patrimonio artistico (35%), l’arte di arrangiarsi (28%), la tradizione cattolica (23%) e la creatività nel campo dell’arte e dell’economia (20%). Scivolano verso il basso della classifica quei riferimenti che costituiscono le basi di una comunità politica, come l’adesione ai principi della democrazia (10%), il civismo e la fiducia nello Stato (6%). L’orgoglio nazionale si indirizza, oggi ancor più che in passato, su aspetti che riguardano le tradizioni sociali e locali. La cultura e l’arte. Infatti, gli italiani si sentono “molto” orgogliosi del patrimonio artistico (75%), delle bellezze del territorio o della cucina (71%). Anche dell’Inno e del Tricolore (67%). Molto meno – anzi, quasi per nulla – della politica e dei politici (3%). Insomma, gli italiani si sentono uniti dalla loro capacità di “fare” e inventare, di reagire alle difficoltà . Ma da soli. Insieme ai loro familiari, al loro piccolo mondo locale. Una nazione fatta di città , di paesi e di famiglie. Lontana dallo Stato e senza le istituzioni. Di cui si apprezza la storia, non il presente. Il Risorgimento, ad esempio, per l’86% degli italiani ha lasciato un segno positivo nella storia del Paese. E poi, soprattutto, il grande valore assegnato alla Ricostruzione degli anni ‘50 e ‘60 (85%). Un periodo emblematico, quasi una bandiera. L’epoca in cui il Paese riuscì a risollevarsi dal baratro in cui l’aveva gettato la guerra. A “ricostruire”, o meglio, a “costruire” un’economia che prima non esisteva. A conquistare lo sviluppo, prima, il benessere, poi. In altri termini: a inventare un futuro nuovo e diverso rispetto al passato. Italiani, nonostante tutto. L’indagine rileva come nove cittadini su dieci ritengono che l’unità d’Italia, avvenuta 150 anni fa, sia stata un avvenimento positivo. Così un popolo che ha sicuramente motivi di divisione ha però trovato anche gli spunti per alimentare il sentimento unitario. La ragione di un orientamento così positivo, nonostante le polemiche, probabilmente, sta proprio nelle polemiche. Nel dibattito acceso – e continuo – suscitato negli ultimi mesi intorno all’unità e ai suoi simboli. Ma è anche il risultato di un lavoro lungo, di riscoperta della memoria nazionale, dei suoi miti, dei suoi riti, dei suoi protagonisti, che normalmente non esiste. Detto altrimenti: gli italiani “diventano” più italiani quando si profila una minaccia all’orizzonte. Anche perché in tale situazione, per una volta, ricordano e valorizzano queste radici. E se si sentono frustrati dal presente e dal passato recente. Se il futuro è fuggito. Allora si rifugiano nel privato, nella famiglia. Nella memoria e nei miti della storia. Questo Paese disincantato e disilluso. E, nonostante tutto, unito. Questo Paese di “italiani nonostante”. Malgrado tutto, italiani.
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