L’annuncio di Obama: «Giustizia è fatta»

by Editore | 3 Maggio 2011 6:36

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 NEW YORK — Prima l’avviso in tre parole inviato via Twitter ai giornalisti della Casa Bianca — «tornate al lavoro» —, poi il messaggio notturno dalla East Room, quando in America era quasi mezzanotte: «Annuncio agli americani e al mondo che gli Stati Uniti hanno ucciso Osama Bin Laden, il leader terrorista responsabile della morte di migliaia di innocenti. Giustizia è fatta» . Dodici ore dopo, durante la cerimonia per il conferimento di alcune medaglie al valor militare, Barack Obama è tornato con poche ma incisive parole sulla missione dei «Seals» della Marina che ha eliminato il capo di Al Qaeda dopo una caccia infruttuosa durata quasi dieci anni: «Credo che siamo tutti d’accordo: questo è un gran giorno per l’America. E tutto il mondo è un luogo migliore e più sicuro per la morte di Osama» . Accusato di essere stato troppo cauto nella lotta contro i nemici dell’America nella prima parte del suo mandato (come nel caso della mano tesa ad Ahmadinejad), il presidente degli Stati Uniti non ha mai avuto dubbi su Osama. Come ha raccontato lui stesso l’altra sera, fin dal suo insediamento alla Casa Bianca ha dato al capo della Cia, Leon Panetta, la missione, con priorità  assoluta, di eliminare il fondatore di Al Qaeda. Obama ha ricostruito tutti i passaggi essenziali dell’operazione — da quando, nell’agosto scorso, furono trovate le prime tracce del nascondiglio— sottolineando di aver diretto personalmente le varie fasi della caccia fino ad autorizzare, venerdì scorso, l’assalto finale. Un’operazione condotta con grande lucidità  e freddezza, senza sbavature (salvo l’incidente occorso a uno degli elicotteri) dal «commando» americano, ma anche dallo stesso presidente: le tensioni della presidenza gli avranno già  imbiancato le tempie, ma nel caso specifico ha dato prova di nervi d’acciaio. Ha ordinato l’attacco venerdì mentre visitava le zone dell’Alabama devastate da un «tornado» . Sabato sera, mentre l’incursione veniva rinviata di qualche ora per il cattivo tempo in Pakistan, se n’è andato alla cena annuale coi corrispondenti della stampa Usa, scherzando con aria rilassata sul suo certificato di nascita e sulle ambizioni presidenziali di Donald Trump. E domenica, quando gli elicotteri dei Seals stavano per decollare dalle loro basi in Afghanistan, era ancora a giocare a golf nel campo della base aerea di Andrews. Ma nelle scorse settimane, ha raccontato lui stesso, aveva presieduto un gran numero di riunioni del consiglio per la Sicurezza nazionale della Casa Bianca. Si è anche saputo che, da vero «commander in-chief» , a marzo aveva deciso di rinunciare a bombardare dal cielo il «compound» vicino a Islamabad nel quale si nascondeva Bin Laden: gli ordigni sganciati dai B-2 avrebbero polverizzato tutto rendendo impossibile il riconoscimento del corpo di Osama e uccidendo anche le donne e i bambini che vivevano con lui. Meglio l’incursione «chirurgica» . Operazione rischiosa, che ha avuto successo. Subito dopo, il comandante è tornato statista: ha informato gli altri leader mondiali, gli ex presidenti, i capi dell’opposizione repubblicana, ha cercato di limitare i danni col governo pakistano. E il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, in serata, ha espresso le proprie «felicitazioni» per la morte di Bin Laden, sottolineando che si tratta di «un punto di svolta» nella lotta al terrorismo. Soprattutto, Obama ha parlato al cuore di un Paese ancora sconvolto dall’attacco dell’11 settembre 2001: «Al Qaeda non cessa certo di esistere per la morte del suo fondatore, ma questo è il più grande successo della nostra lotta contro il terrorismo. Non siamo in guerra con l’Islam: abbiamo eliminato un feroce assassino, uno che ha massacrato anche un gran numero di musulmani» .

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