Landini aggira il paradosso della Fiom
ROMA – Alla fine della riunione del Comitato centrale della Fiom, la linea di Maurizio Landini è stata premiata dai numeri: 106 voti favorevoli, 29 alla mozione della minoranza moderata di Fausto Durante, 15 astenuti dell’area radicale di Giorgio Cremaschi. Non c’erano molti dubbi: il peso delle due ali di destra e di sinistra all’interno dei metalmeccanici della Cgil è da tempo poco rilevante. E nel voto di ieri è stato anche minore di quanto accaduto al congresso. Sarebbe stato davvero impossibile un ribaltone in grado di mettere in discussione il segretario generale. Che, anzi, dalla riunione esce rafforzato. Lettura ovviamente contestata dal leader della minoranza, Fausto Durante, secondo il quale la sua area è passata da 44 a 29 voti solo a causa degli assenti.
L’appuntamento di ieri a Roma era un’ottima occasione per fotografare le diverse anime che da tempo si confrontano nel principale sindacato dei metalmeccanici italiani. Soprattutto dopo la scelta delle rsu della ex Bertone di approvare un accordo di fabbrica che ricalcava quelli invece contestati a Pomigliano e Mirafiori. «Spaccatura nella Fiom», avevano detto Confindustria e i sindacati del sì. Spaccatura che effettivamente ha attraversato l’area di maggioranza che sostiene Landini. Perché fin da subito il presidente del Comitato centrale, Giorgio Cremaschi, ha contestato la decisione dei delegati di votare sì e di firmare il contratto. Fino a chiedere che «la Fiom sconfessi quella scelta». Perché «un rsu della Fiom non può approvare un contratto che giudichiamo illegittimo». Ieri Landini ha sfidato gli oppositori: «Non ho alcuna intenzione di dimettermi» e sulla ex Bertone ha ripetuto la risposta data già nei giorni scorsi: «Votando sì, le rsu si sono sottratte al ricatto dell’azienda. Ma la Fiom, che come organizzazione non è ricattabile, non firmerà l’accordo» e anzi sta addirittura riflettendo se portare quell’intesa in tribunale. Rimane il paradosso di un sindacato che contesta in aula quel che i suoi delegati firmano in fabbrica.
Non è un dibattito che riguardi solo lo stabilimento torinese. In discussione è l’intera strategia della Fiom nei confronti della Fiat, iniziata un anno fa nello scontro su Pomigliano, proseguita d’estate nel braccio di ferro sui licenziamenti di Melfi, diventata anche più aspra in autunno a Mirafiori e giunta pochi giorni fa alla resa dei conti della ex Bertone. Linea impostata dodici mesi fa da Gianni Rinaldini, e consegnata al successore, Maurizio Landini. Quest’ultimo è riuscito a indebolire le sue due opposizioni. Quella ufficiale, di Durante, che fa riferimento alla maggioranza di Susanna Camusso in Cgil. E quella ufficiosa di Cremaschi che, all’indomani del voto alla ex Bertone, aveva alzato i toni per poi tradurli, ieri, in un semplice voto di astensione. Formalmente Cremaschi può dire di far parte della maggioranza. Ma in realtà è sempre più spesso in rotta di collisione con il segretario generale ed è per questo che Durante può parlare di «maggioranza indebolita». E’ però del tutto improbabile un’alleanza tra le due ali dei moderati e dei radicali.
Dal Comitato centrale è dunque uscito rafforzato l’asse tra Landini e Giorgio Airaudo, il responsabile nazionale del settore auto che viene considerato l’ultimo erede di Claudio Sabattini. Sono loro che hanno condotto le battaglie recenti. A loro toccherà gestire il seguito del confronto con il Lingotto. E risolvere (una riunione è convocata per il 12 maggio) la patata bollente di Melfi dove ben 11 delegati su 18 hanno chiesto alla Fiom nazionale di adottare una linea più morbida nei confronti del Lingotto.
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