by Editore | 3 Maggio 2011 7:18
ROMA – E ora? Le intelligence e gli apparati di sicurezza del mondo intero tornano a parlare una sola lingua – quella della paura – e propongono un’unica risposta. «Arriverà il giorno della vendetta». Il sangue di Bin Laden chiamerà nuovo sangue. In un perimetro della minaccia che abbraccia quattro continenti: Europa, Stati Uniti, nord Africa, Medio Oriente, penisola arabica, sud Est Asiatico. Lo scrive il direttore della Cia, Leon Panetta, in un messaggio interno agli uomini di Langley («Osama è morto, Al Qaeda è ancora in vita e i suoi terroristi cercheranno vendetta»). Lo spiegano uomini che dell’Agenzia hanno fatto la storia, come l’ex vicedirettore John McLaughlin («Aver tagliato la testa dell’organizzazione non vuol dire averne minato le fondamenta. La minaccia continua»). Lo certifica l’Interpol con una nota che chiede un aumento del livello di vigilanza dei Paesi membri («Il rischio posto da Al Qaeda o da terroristi che a lei si ispirano è massimo»). Lo ripetono, come un mantra, i ministri dell’Interno di Inghilterra, Paese europeo a più alta concentrazione di musulmani («Il livello di allerta è grave», Theresa May), Francia («La minaccia resta elevata», Claude Guéant) e Italia, dove Roberto Maroni, dopo aver avvertito che ora si fa concreto «il rischio di una risposta immediata del Terrore», ha riunito il Comitato di analisi strategica antiterrorismo. Per verificare la qualità e specificità della minaccia che ci riguarda (la morte di Osama si somma alla promessa di vendetta di Gheddafi). Per elevare il livello di sorveglianza non solo sugli obiettivi sensibili del nostro Paese quali infrastrutture, nodi portuali, ferroviari e aeroportuali, ma anche su quelli americani e pakistani (sedi diplomatiche, scuole, istituti culturali, uffici di società ). Secondo un protocollo che si adegua al piano di «protezione domestica» scattato negli Stati Uniti (dove il semaforo della paura è stato portato al livello massimo di “Force protection Bravo”, con il richiamo dal Giappone di un’unità dei marines specializzata in protezione chimico-batteriologica e il “warning” del Dipartimento di Stato ai cittadini residenti all’estero). E tuttavia, la consapevolezza condivisa su “cosa” verosimilmente accadrà , non risponde necessariamente al “dove” e al “come” accadrà . Gli scenari delle intelligence europee immaginano una vendetta diversa in ragione del contesto geografico in cui verrà consumata. “Aqim” (Al Qaeda nel Maghreb islamico) in nord Africa e “Aqap” (Al Qaeda nella penisola arabica) in Yemen hanno uomini e risorse per pianificare una risposta “regionale” cruenta di forte intensità , materiale e simbolica (la strage di Marrakech lo testimonia), così come di attentare alla sicurezza del trasporto aereo verso Europa e Stati Uniti. Ma quel che è vero in queste due strisce di mondo, non lo è necessariamente altrove. Al Qaeda è da tempo, per usare la definizione della Cia, un “loose network”, una rete a maglie larghe senza padrone, dal marchio in “franchising”. Appartiene a chi se ne impossessa nel rivendicare un atto di sangue. Ha perso la forza e la capacità di pianificare attacchi come l’11 settembre (circostanza che renderebbe ormai prive di attualità le informazioni che, sei anni fa, l’ex qaedista Al Libi riferì agli americani che lo interrogavano circa l’esistenza di un «piano di risposta nucleare in Europa all’eventuale morte di Bin Laden»). Ma, come sottolinea Carlo De Stefano, ex capo della nostra Antiterrorismo, la sua «parcellizzazione globale» ha incendiato le teste di cellule autonome e homegrown terrorists (i martiri nati e cresciuti in Occidente), ha eccitato la spinta emulativa di sbandati. Il che – come sottolinea una fonte qualificata dell’Ucigos – rende la prevenzione una scommessa e «concreto, soprattutto in Europa, il rischio che la risposta alla morte di Bin Laden possa assumere le forme del gesto devastante del singolo». Del martirio nel mucchio concepito in qualche scantinato di una grande capitale. La previsione ha un fondamento statistico (le intelligence europee hanno evidenza di centinaia di immigrati di seconda generazione con passaporto inglese e tedesco che si sono formati in questi anni nei campi di addestramento di Afghanistan e Pakistan) e un indizio recente. Storia della settimana scorsa, quando in Germania sono stati arrestati tre cittadini marocchini, in possesso di «precursori di esplosivo ad alto potenziale» e pronti a colpire luoghi pubblici.
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