L’addio del Lingotto può scatenare la grande fuga da Confindustria

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TORINO – Nei giorni scorsi un fornitore della Fiat ragionava ad alta voce con un sindacalista: «Io ho una piccola azienda che produce componenti per la Maserati. Applico il contratto dei metalmeccanici e ho una forte presenza della Fiom. Quando inizierà  la produzione alla ex Bertone dovrò fornire alla Fiat un certo numero di componenti regolato sui ritmi produttivi del mio cliente. Solo che alla ex Bertone, dove si applica il contratto di Pomigliano e si vive fuori dalle regole di Confindustria, i lavoratori possono fare 120 ore di straordinario all’anno. Io sono dentro Confindustria e con il contratto nazionale non posso pretendere quei ritmi. Come faccio?».

L’aneddoto spiega bene per quale motivo l’uscita di Fiat da Confindustria rischia di avere l’effetto dell’apertura di una diga: non è un’azienda, per quanto importante, che se ne va. E’ invece la fuga di un intero sistema di imprese. Perché anche nell’industria vige la regola della natura: l’ontogenesi ricalca la filogenesi, ogni individuo, in questo caso ogni singolo stabilimento di assemblaggio finale, lavora con le stesse regole che fanno funzionare il sistema di fornitura che sta alle sue spalle. Per questa ragione la fornitura non può lavorare a un ritmo diverso dalla produzione finale.
E’ immaginando questo scenario che l’altro ieri Emma Marcegaglia ha parlato del rischio di una divisione delle imprese in una «serie A» e in una «serie B». Perché se Fiat esce da Confindustria, nasce una nuova Confindustria, basata sulle regole del contestato contratto nazionale di Pomigliano. Una nuova Confindustria che non riguarderà  necessariamente il solo settore auto ma tenderà  ad affascinare progressivamente tutte le aziende che sono più impegnate a livello globale. Non una serie A e una serie B ma, per rimanere in ambito calcistico, regole diverse per chi gioca in Champion’s e per chi fa il campionato nazionale.
Uno dei principi della nuova Confindustria è che il suo modello di relazioni sindacali non prevede la contrattazione permanente. Perché, dice, non se la può permettere. E in base a questo criterio seleziona i sindacati premiando chi lo accetta e punendo chi, come la Cgil, lo critica. Così può accadere quel che è avvenuto il 12 maggior scorso quando la Fiat ha inviato una raccomandata a Fim, Uilm e Fismic sollecitandoli a costituirsi contro la Fiom nel processo intentato dall’organizzazione di Landini contro l’accordo di Pomigliano. «Considerando – si legge nella lettera – che l’azione promossa dalla Fiom ha come obiettivo di vanificare quanto concordato». Dunque potrebbe accadere nei prossimi giorni (c’è già  stata una riunione tra i legali) che due sindacati confederali si costituiscano in tribunale contro il terzo a difesa del nuovo contratto nazionale firmato a Pomigliano per consentire l’uscita della fabbrica da Confindustria. Perché la nascita di una nuova associazione di industriali è molto legata all’esito del processo che si aprirà  a Torino il 18 giugno. Al punto che l’altro ieri il ministro del lavoro Sacconi, favorevole all’intesa di Pomigliano, paventava «una sentenza creativa», invadendo con tutta evidenza il campo della magistratura ancora prima che si apra il processo.


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