La trincea del Quirinale “C’è una sola Costituzione quella materiale è fantasia”

by Editore | 8 Maggio 2011 7:55

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Non siamo ancora una Repubblica presidenziale. Dal Colle nessuna replica ufficiale agli attacchi scatenati dal partito del premier, dopo la nota sulla nomina dei nove sottosegretari. Ma l’irritazione che filtra dà  la misura di distanze sempre più marcate con Palazzo Chigi. Tanto più di fronte a un Berlusconi che, quasi in versione Lassini, esaspera ancor più i toni contro «pm-cancro e «democrazia malata», dal palco del Palasharp al fianco della Moratti. Ma la retromarcia di Bossi che ora dà  ragione a Napolitano è più che un campanello d’allarme per il Cavaliere. Ancora infastidito dalla nota e ora preoccupato, a pochi giorni dal voto: «Ormai è chiaro che Umberto è il primo a sfilarsi se perdiamo a Milano, se le amministrative vanno male». 

Il presidente del Consiglio si è convinto intanto che il Colle con quel monito gli abbia voluto lanciare una sfida legata proprio al voto imminente. «E io quella sfida la raccolgo» spiega un premier motivato, prima e dopo il comizio, ai deputati pidiellini che lo accompagnano. Altro che voto di fiducia in aula, il vero banco di prova saranno Milano, Napoli, Torino, Bologna. Tenuta elettorale tutta da verificare, insomma, tre anni dopo le politiche. Berlusconi lo sa, sa di giocarsi tutta la partita lì, soprattutto nel capoluogo lombardo. Per questo ha ripetuto anche nelle ultime ore che «il voto ha una valenza politica ed è fondamentale per il governo». Il portavoce Bonaiuti smentisce, assieme all’irritazione, la preoccupazione per l’asse col Carroccio: «Il Bossi di poche ore fa è perfetto, la Lega resta il nostro alleato più solido». Sta di fatto che Berlusconi chiama alla mobilitazione. Soprattutto perché, stando ai sondaggi che gli hanno consegnato fino a ieri, il candidato sindaco Moratti, pur in crescita, arrancherebbe rispetto alle liste. «Brava, so che ce la stai mettendo tutta» raccontano le abbia sussurrato il premier, baciandola, a fine comizio. Un incoraggiamento, ma anche una presa d’atto delle difficoltà . 
Sul Colle intanto incassano le scuse di Bossi con soddisfazione. Frutto anche di una spiegazione ottenuta dal Senatur – a quanto pare attraverso il ministro-pontiere Calderoli – sul senso esatto dell’altolà  del capo dello Stato al rimpasto. Innestata perciò la retromarcia dopo la prima uscita nottetempo e a botta calda (con il leader del Carroccio forse colto anche alla sprovvista dalle domande dei cronisti) si riconferma saldo l’asse della Lega col Quirinale. Puntellato a dovere dalla firma, ieri, al decreto del federalismo da parte di Napolitano. Il presidente della Repubblica assiste invece sbigottito all’escalation di polemiche scatenate contro di lui. Compreso l’ennesimo strappo, affidato stavolta all’uomo-macchina Verdini, sui poteri del presidente della Repubblica. Il coordinatore del Pdl invoca mano libera sulla Costituzione «materiale», vuole che il Colle non metta bocca sul presidenzialismo di fatto acquisito con le elezioni. Irricevibile. Il capo dello Stato, ed è la bussola di Napolitano, è il garante, il custode della Costituzione che abbiamo, l’unica, quella scritta, sulla quale giura anche il governo. Sulla scelta di Fini e Schifani di convocare i gruppi dopo le amministrative al Quirinale non commentano, non entrano nel merito delle scelte autonome delle Camere. Del resto non c’era la richiesta di un nuovo voto di fiducia nella nota del presidente. 
L’assalto dei giornali di famiglia al «presidente della Repubblica comunista» che lavora contro Berlusconi, quello invece finisce liquidato con un’alzata di spalle. Non così, al Colle, rispetto alla sorpresa, alla «doccia fredda» lamentata dallo stato maggiore del Pdl dopo la nota-monito sui sottosegretari. Una ricostruzione che sarebbe smentita dai fatti, per come sono andati in questi ultimi giorni. Perché in tutte le sedi, pubbliche e private, da giorni, fanno sapere dal Quirinale, il capo dello Stato aveva messo in guardia. Ancora nell’ultimo faccia a faccia con Berlusconi, il presidente della Repubblica aveva avvisato il premier di quanto fosse questione delicata la faccenda del rimpasto. Nel comunicato che concluse dieci giorni fa l’incontro, fanno notare, appariva una parola-chiave: «Preannunciato». Berlusconi aveva appunto solo «preannunciato» lo sbarco dei sottosegretari al capo dello Stato. Al Colle non avevano voluto dettagli sui nomi e sulle scelte, proprio per tenersi le mani libere, ma con l’avvertenza che già  era stata formulata: attenzione non solo a non sforare sui numeri, ma anche alla questione dei cambi di maglietta politica in corsa. Berlusconi avrebbe prima assicurato tempi più lunghi, magari un’informativa in Parlamento. Poi il pressing dell’esercito dei Responsabili, il timore di sgambetti in Parlamento, l’imminenza delle amministrative, hanno indotto, anzi costretto il Cavaliare ad accelerare i tempi. E tutto è precipitato.

 

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