La sfida di Manal “Guido l’auto contro i pregiudizi”
Da sabato sera il suo cellulare non suona più: un avviso, in arabo e inglese, avverte che è staccato. Nessuno sa dire quando riprenderà a squillare: Manal al Sharif ha sfidato uno dei tabù più radicati dell’Arabia Saudita. E ne è uscita sconfitta. Divorziata, 32 anni, un figlio, è la promotrice di un’iniziativa che in pochi giorni ha fatto il giro di Internet. Con un gruppo di amiche e sostenitrici ha deciso di rilanciare una delle campagne che periodicamente scuote il regno, quella per rimuovere il divieto di guidare imposto alle donne.
Per farlo ha usato il mezzo che in questi mesi ha scosso il mondo arabo: la Rete. Un paio di settimane fa ha postato su Youtube un video di se stessa al volante di un’auto per le strade di Khobar, la sua città . Alla telecamera spiegava che la sua esasperazione aveva raggiunto il picco dopo che una sera, recatasi in ospedale con il figlio, non era riuscita a trovare un taxi che la riportasse a casa: era rimasta in strada per un’ora, vittima degli insulti. Velo nero in testa, occhiali da sole sul viso, Manal mostrava che era perfettamente in grado di guidare (ha imparato all’estero) e che la sua presenza dietro al volante non infastidiva nessuno. Il video si chiudeva con un appello: l’appuntamento con tutte le saudite che volevano guidare era fissato appuntamento al 17 giugno.
In pochi giorni le sue pagine Facebook e Twitter erano state sommerse di commenti – positivi e negativi – e sul web era spuntato un altro video, con istruzioni più precise per il 17. Tanto successo probabilmente è stato la rovina di Manal. «Si è sentita troppo sicura, ha preso di nuovo la macchina ed è stata arrestata. L’ottimismo l’ha ingannata».
Queste parole vengono da colei che più di ogni altra si è batte per il diritto di guida delle saudite: Wajeha Al Huwaider era stata la prima, nel 2008, a mettere on line un video di se stessa al volante e a promuovere petizioni per chiedere a re Abdullah, l’anziano monarca con fama di riformista, di abbattere la barriera delle patenti femminili. Due settimane fa era al fianco di Manal a girare il video: «Nessuna azione sovversiva. È esasperata: come me, come migliaia di noi: non possiamo vivere in una società che non ci dà diritti», dice ora. In Arabia Saudita le donne non possono votare, viaggiare, decidere di lavorare: ogni scelta sulla loro vita è derogata per legge a un “guardiano”, uomo.
Huwaider ora è preoccupata per l’amica: «Mi dicono che è stata accusata di tradimento. Tutti sanno che una sciocchezza, ma è pericoloso». A saperlo in particolare sembrano essere le saudite: già nelle settimane scorse video di donne al volante in diverse città avevano cominciato a uscire. Solo nelle 24 ore successive all’arresto di Manal, racconta Al Huwaider, ne sono stati postati altri tre. Un segnale che le autorità possono fingere di non vedere: ma che segue di poco la protesta delle donne che chiedono di votare alle prossime elezioni municipali, a settembre. Il segno che il profumo della primavera araba è arrivato anche a Riad: quanto a lungo si potrà ignorarlo?
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