La Serbia arresta Mladic Neanche un colpo di pistola per fermare il boia di Srebrenica

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LAZAREVO (Serbia) – Non si passa sulla ulica Vuk Karadzic. Un trattore avvolto nel rosso-blu-bianco a strisce orizzontali, con l’aquila serba a due teste, blocca il transito nella stradina che porta alla modesta casa in mattoni gialli di Branko Mladic, cugino di Ratko, l’uomo più ricercato d’Europa. I militanti dell’estrema destra presidiano Lazarevo, tremila abitanti, in Vojvodina, non lontano dal confine romeno. Ma sono sì e no una cinquantina, si aggirano senza meta fra i poliziotti e i bambini impegnati a giocare a zmurke, la versione locale del nascondino. Ogni tanto qualcuno intona un canto patriottico: «Chi lo dice, chi lo dice, che la Serbia è piccola?». Nella strada vicina, due preti ortodossi si accalorano con altri militanti, uno sfoggia un cartello con scritto: «Vergogna, Mladic è un eroe serbo», un altro sventola la bandiera nera dell’estrema destra.Ratko Mladic l’inafferrabile è stato catturato qui, dove già  era stato segnalato mesi fa. C’è voluto un ampio spiegamento di forze: agenti della Bia, i servizi di sicurezza di Belgrado, auto, elicotteri. Ma all’osteria poco lontana, fra un boccale di birra Jelen e un caffè alla turca, gli avventori contestano la versione ufficiale. Mile si dice sicuro che sia tutta una messa in scena: Mladic è stato catturato a Belgrado (ma «non si può dire, per evitare disordini»), c’è chi ipotizza che sia stato persino portato in manette dal cugino, e tutti sono sicuri che mai e poi mai qualcuno di questa zona avrebbe tradito il generale, né per la taglia di dieci milioni, «ma nemmeno per cento miliardi», dice uno che si definisce “patriota”, perché «lui è il nostro Garibaldi». Ma questa, anche qui in Vojvodina, è la voce della Serbia profonda, quella dei montanari scacciati dalla Bosnia e dalla Croazia, che non dimenticano. Sono gli stessi nazionalisti che a Belgrado hanno manifestato la rabbia contro il governo, per essere poi sgombrati con la forza dalla polizia, mentre a Novi Sad hanno assalito la tv locale.

Nelle immagini realizzate durante il primo interrogatorio, il generale è apparso spaesato e confuso nel suo capelluccio da baseball e nella sua giacca a vento blu. I media serbi hanno parlato di uno pseudonimo, Milorad Komadic, con cui Mladic avrebbe scelto di beffarsi del mandato di cattura persino nei documenti perché ripeteva quasi alla lettera il proprio. Ma il governo di Belgrado smentisce. Quello che conta era che l’uomo catturato a Lazarevo era in realtà  l’ex capo di Stato maggiore delle truppe della Republika Srpska, l’uomo che diede ordine militare alla pulizia etnica e che trasformò in massacro i vaneggiamenti politici di Radovan Karadzic. Ma dopo la formalizzazione delle accuse, il generale è riuscito appena a salutare con un “Dobar Dan”, buongiorno, poi a negare la competenza del Tribunale speciale dell’Aja, dopo di che si è messo a farfugliare in modo incomprensibile tanto che l’audizione è stata sospesa. Unite all’incapacità  di usare una mano, le difficoltà  di espressione potrebbero essere il risultato di un ictus. «Non era nemmeno capace di dire correttamente come si chiamava», dice l’avvocato Milos Saljic, che assiste la famiglia.
I rapporti ufficiali spiegano che l’operazione è scattata all’alba, in quattro case contemporaneamente, perché quattro erano le famiglie di parenti del ricercato. Mladic non era travestito, assieme alle tante medicine aveva anche due pistole, ma non ha fatto resistenza, e forse non avrebbe potuto, perché «era pallidissimo, sembrava vecchio e malato», dice un amico d’altri tempi alla tv serba. La certezza che fosse il generale è arrivata solo dopo la prova del Dna, dopo che Mladic era al sicuro, probabilmente dietro le sbarre nella sede del Servizio di sicurezza, nel quartiere Banjica di Belgrado. La versione ufficiale parla di una denuncia “anonima”, ma ovviamente così si direbbe anche se qualcuno si fosse lasciato tentare dalla taglia. La cattura di Mladic arriva in effetti in un momento particolare, mentre il governo di Belgrado spende tutte le sue energie all’inseguimento di una candidatura all’Unione Europea. A fine anno la Serbia saprà  se può vantare almeno lo status di Paese candidato, o se invece i buoni rapporti con l’Ue rischiano di peggiorare. Già  alcuni Paesi dell’Unione vogliono rivedere l’accordo sui visti, perché avrebbero registrato troppe richieste di asilo di nomadi e albanesi con passaporto serbo. Tanto più che in queste ore era stato diffuso il rapporto firmato da Serge Brammertz, capo procuratore della Corte Onu per l’ex Jugoslavia, in cui si rimproverava alla Serbia di non aver fatto abbastanza per assicurare Mladic alla giustizia internazionale. Ora invece le notizie del blitz di Lazarevo danno una spinta alla causa di Belgrado, chiudendo l’eterna polemica fra il vecchio presidente Vojslav Kostunica e l’attuale, Boris Tadic, su chi aveva fatto di meno.
I parenti del generale «sono scioccati»: i cugini sono stati arrestati con lui, ma subito rilasciati. A sentire il legale, nessuno aveva più notizie dalla latitanza. Anzi, poco tempo fa i Mladic avevano chiesto la dichiarazione di morte presunta. Un po’ troppo per la giustizia serba, che aveva detto “no” e aveva incrementato la pressione sulla casa nel rione di Kosutnjak. La stessa in cui il ricercato veniva segnalato regolarmente, ma sempre troppo tardi. La stessa dove l’anno scorso una perquisizione finalmente accurata aveva fatto scoprire i diari personali del generale, con le sue teorie sulla necessità  di «liberarsi dei musulmani», anche a costo di allearsi con gli odiatissimi croati. Le idee di una purezza della nazione che passava anche per le fosse comuni di Srebrenica.

 


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