La seconda morte di Osama Bin Laden
Anticomunista, ricchissimo, molto credente, era convinto che fosse stato l’Islam, con le sue formazioni internazionali, ad aver accelerato la caduta dell’Urss con la sconfitta dell’Armata Rossa in Afghanistan. Aveva dimenticato che quei volontari non avrebbero potuto arrivare né dal Maghreb né dal Machrek se la Cia non avesse organizzato la loro mobilitazione, e che in ogni caso non avrebbero potuto fare nulla senza i finanziamenti sauditi, la logistica pachistana e le armi americane. Osama Bin Laden si sbagliava su tutta la linea, ma con falsa sicumera era giunto alla conclusione che se la vera fede era riuscita ad abbattere il Comunismo, essa non avrebbe incontrato difficoltà a sbaragliare anche gli Stati Uniti, contro i quali si era rivoltato dopo aver beneficiato del loro aiuto per affrontare il comune nemico sovietico. Al pari di un’intera generazione islamica, la mente dell’11 Settembre era tanto antiamericano quanto anticomunista, giacché tutti i regimi arabi – a prescindere che fossero alleati degli Stati Uniti o si ispirassero al modello sovietico – in ogni caso gli parevano aver tradito l’Islam in uno stesso modo. Ai suoi occhi erano tutti figli dell’Occidente cristiano, una quinta colonna che occorreva sbaragliare simultaneamente ai suoi capi, organizzando l’esercito dei fedeli. È con questo obiettivo in mente che Osama Bin Laden aveva mobilitato nelle fila di al Qaeda numerosi ex volontari che avevano combattuto in Afghanistan ed erano tornati nei loro Paesi d’origine. È con questo obiettivo in mente che era riuscito a reclutare dietro la sua bandiera giovani musulmani istruiti affascinati dalla sua impresa, da questa jihad, questa guerra santa che avrebbe dovuto rilanciare l’espansione dell’Islam fermata, circa cinquecento anni fa, dal Rinascimento europeo. Esaltata dalla potente simbologia del crollo delle torri gemelle di Wall Street, al Qaeda aveva per tutto ciò incarnato la speranza di operare una vendetta storica dell’Islam sull’Occidente, alla quale molti musulmani non erano del tutto insensibili, anche quando il terrorismo li lasciava sgomenti. Con il suo bastone e la sua barba da profeta, Osama Bin Laden è stato una figura dell’Islam che, come Lenin nel movimento operaio, ha irradiato il suo ascendente ben al di là della cerchia dei suoi uomini. L’islamismo, però, segnava già il passo quando egli ne sognava l’incarnazione nella teocrazia iraniana. Non aveva ancora neppure iniziato a progettare gli attentati dell’11 Settembre, né vagheggiato quella messinscena destinata a precipitare il mondo intero in una guerra – che egli non dubitava affatto che sarebbe stata vinta dall’Islam – , che in Iran una schiacciante maggioranza di elettori già eleggeva presidente della Repubblica islamica un riformatore, Mohammad Khatami, che aveva promesso loro più libertà , più dialogo con l’Occidente. A partire dal 1997 l’islamismo è stato respinto dall’unico Paese nel quale aveva trionfato, in quanto i popoli musulmani – al contrario degli illuminati di al Qaeda – non aspirano a colmare il ritardo storico col resto del mondo con un ritorno al VII secolo. Aspirano a farlo per mezzo di libere elezioni, con la separazione dei poteri, con la democrazia e la libertà , potendo fare finalmente propri quei valori che non sono occidentali, bensì universali quanto la sete di giustizia. Con i suoi crimini Osama Bin Laden era riuscito a persuadere molti occidentali che tra Islam e democrazia vi fosse un’incompatibilità di fondo, ma i manifestanti di Avenue Bourguiba e di Piazza Tahrir, i risoluti yemeniti, i libici insorti, i siriani eroici hanno dimostrato esattamente il contrario. Nei Paesi musulmani la Jihad non conta più. Mentre i suoi emuli si perdevano in massacri sempre più spregevoli e fratricidi, Osama Bin Laden si è ritrovato ancor più isolato, così ingombrante e anacronistico che alla fine i suoi stessi protettori dei servizi segreti pachistani hanno lasciato che gli americani li liberassero di lui. Colui che aveva fatto tremare l’America e il mondo intero non era più neppure in grado di aiutare il Pakistan a garantire il proprio ascendente sull’Afghanistan. Era morto prima ancora di essere ucciso ma, a modo suo, a suon di bombe, aveva annunciato il risveglio arabo, facendo sapere che l’Islam non intendeva più essere uno Stato terzo, il reietto di un secolo nel quale altri diseredati avrebbero potuto salire alla ribalta. Profeta sì, ma profeta oscurantista e cieco, questo cattivo pastore privo della sua aura con la propria morte toglie qualsiasi giustificazione alle dittature arabe e lascia spazio alle vere avanguardie delle società musulmane, quelle della generazione democratica, la generazione che respinge in uno stesso modo teocrazia e autocrazia. Quella generazione il cui coraggio ci obbliga al rispetto. Traduzione di Anna Bissanti
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