La pubblicità  che in TV dilaga dappertutto

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In una intervista a Giorgio Napolitano un noto giornalista, a un certo momento della conversazione, lo interrompe: Presidente, mi scusi, ma dobbiamo “andare in pubblicità “. Naturalmente, non è accaduto. Ma potrebbe capitare, da un momento all’altro.

Io non so fino a che punto le norme che regolano la pubblicità  televisiva siano correttamente osservate. E, dico la verità , non mi interessa molto. So però che, autorizzata o no, la pubblicità  televisiva è diventata intollerabile. Dilaga dappertutto, si infila in ogni spazio, colma ogni minimo vuoto. Tu apri il televisore e capiti, una volta su due, sulla pubblicità . Ti becchi una decina di messaggi. Poi qualcuno annuncia un’intervista condotta da Lilli Gruber. Meno male. Ma subito dopo l’annuncio, irrompe sullo schermo un’altra decina di messaggi pubblicitari. Poi ecco finalmente la bravissima Lilli. Presenta gli invitati, affronta il tema, fa le domande. Ma quelli hanno appena cominciato a rispondere, che Lilli interviene. «Dobbiamo andare in pubblicità ».
Enrico Mentana, dopo una gragnuola di messaggi pubblicitari, riesce ad annunciare il suo telegiornale. Non ha detto l’ultima parola che la gragnuola riprende. Ma non è finita. Compare sullo schermo l’effigie del telegiornale. E subito dopo ricomincia il bombardamento. Peggio che a Tripoli. Non un secondo. Non un riparo.
Mi chiedo se giungerà  il momento in cui le notizie della politica e della cronaca e i programmi annunciati diventeranno entr’actes di un discorso pubblicitario continuo. A un certo punto del cannoneggiamento, a mezzo di un messaggio sulla gioiosa glorificazione della carta igienica, qualcuno dirà : dobbiamo andare in politica.
Sarà  allora giocoforza interrompere la festa degli angioletti inseguiti da mamme e papà  felici, di signore che parlano con un albero di Natale, di bimbi su vasetti, mamme coi rossetti, papà  coi buffetti, per trasferirci per qualche istante tra le rovine delle centrali giapponesi o quelle di Montecitorio.
Certo, lo so bene. La pubblicità  è una componente necessaria del finanziamento dell’informazione; e quindi, della democrazia. Ma può essere distribuita nel tempo con maggiore discrezione e intelligenza. Per esempio, legandola a certi programmi e salvandone altri, non diffondendola pervasivamente in un bagno della scemenza. E anche esercitando qualche forma di revisione: non si tratta ovviamente di censura, ma di salvaguardia del buon gusto e della decenza.
Penso anche che il costo di questa limitazione possa e debba essere sopportato dal cittadino utente. Chi non lo sopporterebbe, in cambio di una liberazione di spazi del tutto indenni dalla comunicazione commerciale? La pubblicità  deve essere un servizio e non un’imposta sulla stupidità .
Quel servizio, saremmo pronti a pagarlo se ci fosse risparmiato il costo obbligatorio delle “scenette”.
Saremmo pronti a pagare qualche minuto di distensione, magari allietato da un minuetto di Mozart o, come si faceva una volta, in un’epoca della quale sentiamo la nostalgia, in riposanti visioni di pecorelle: o persino, al limite, da un silenzio amico, complice della riflessione, dio sa se ce n’è bisogno.
Magari per pensare a come possono essere contrastati i guai della pubblica maleducazione. L’altro giorno abbiamo visto, proprio in televisione, un autista che guidava l’autobus con i gomiti per ragguagliarsi sull’uso del suo telefonino. Ciò non sorprende, dove c’è qualcuno che pretende di usare i gomiti per governare il Paese. Basta così: dobbiamo andare in pubblicità .


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