La guerra del cavaliere contro il Presidente

by Editore | 8 Maggio 2011 6:09

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Ma ieri il tono di quei giornali era completamente cambiato, suonando all’unisono con gli umori del Presidente del Consiglio. È bastato che Napolitano segnalasse la necessità  costituzionale di un dibattito parlamentare che prenda atto della nomina di nove sottosegretari provenienti da gruppi parlamentari diversi da quelli che vinsero le elezioni del 2008, per scatenarli in un rabbioso attacco alla più alta istituzione repubblicana, accusata di porsi come la sola vera opposizione al “buongoverno” del Cavaliere di Arcore.
Questi continui capovolgimenti della destra berlusconiana e la sua costante aggressione contro i “magistrati eversivi” che pretendono di giudicare l’uomo votato dal popolo sono la prova provata che i tanti problemi che interessano la vita dei lavoratori, delle famiglie, delle imprese e insomma di tutto il Paese restano e resteranno irrisolti e neppure affrontati a causa del problema preliminare, costituito appunto dalla presenza di Silvio Berlusconi alla guida del governo nazionale.
Ognuno di noi farebbe volentieri a meno di occuparsi delle gesta del Cavaliere, ma è lui che lo rende impossibile. Chi si ostina a non rendersi conto di questo elemento preliminare avrà  certo le sue ragioni ma non sono buone ragioni, visto che prescindono da un dato di realtà .
L’aggressione mediatica e politica contro il Capo dello Stato che non ha fatto altro che esercitare il suo mandato di custode della Costituzione, senza forzature né strappi, conferma l’insofferenza di ogni vincolo alla volontà  di chi ritiene che l’investitura ricevuta dal popolo possa e debba trasformarsi in una vera e propria dittatura della maggioranza e di chi ha cooptato o comprato quella maggioranza comportandosi come un Re sovra-ordinato a tutte le altre istituzioni.
Questo è il significato dell’attacco contro Napolitano e poiché il voto amministrativo incombe, il passaggio parlamentare sul rimpasto governativo è stato rinviato a dopo le elezioni del 15 maggio per influenzarne l’esito che si annuncia molto incerto.
La piazza decisiva sarà  quella di Milano perché è lì che Berlusconi e Bossi faranno il massimo sforzo per vincere fin dal primo turno. La partita non si gioca solo nella capitale lombarda, sono infatti 12 milioni gli italiani chiamati alle urne in tutto il Paese. Ma Milano rappresenta la cuspide politica di questa tornata elettorale. Per vincere il Re ha deciso di scendere in guerra con tutti quelli che considera i suoi riottosi vassalli: la magistratura ribelle ai suoi voleri, la Corte Costituzionale “gremita di comunisti” e perfino il Capo dello Stato. I milanesi sono dunque avvertiti: chi voterà  le liste guidate dal Re in persona gli avrà  dato un mandato in bianco per trasformare la democrazia e lo stato di diritto in un regime autoritario che risponde in tutto e per tutto ad una sola persona e agli oligarchi da lui cooptati o comprati. 
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Ciò detto, credo valga la pena di occuparci di quanto disse giovedì scorso Giorgio Napolitano al convegno su Antonio Giolitti a proposito della sinistra italiana. Anche quella è stata un’occasione di fare chiarezza confrontando pensieri ed esperienze culturali e politiche.
Rispondendo ad una domanda di Giuliano Amato il Presidente lesse un brano di Giolitti contenuto in una delle sue ultime lettere alla nipote Marta. Incitava la sinistra di allora (parliamo del 1992) ad essere credibile e concreta e a costruire un programma praticabile e capace di soddisfare i bisogni e le speranze dei cittadini. Ideologie no (era contrario alle ideologie e l’aveva dimostrato in tutta la sua vita) ma ideali sì, ed anche questo lo aveva dimostrato durante la sua lunga esistenza da intellettuale, da combattente partigiano, da militante del Partito comunista, da uomo di sinistra che non poteva sopportare l’arrivo dei carri armati sovietici a Budapest per schiacciare la libertà  reclamata dal popolo ungherese. Infine dalla sua presenza nel Partito socialista dove continuò a sostenere gli stessi ideali che prima credeva di avere trovato nel Pci. 
Questo è stato il lascito politico, morale e culturale di Antonio Giolitti. Come non definirlo un lascito di socialismo liberale? Quale altra definizione si può dare di questa rara figura di intellettuale e di uomo politico la cui vita fu caratterizzata dalla ricerca tenace di tenere stretti insieme i due grandi valori della libertà  e dell’eguaglianza che non possono esser separati senza dar luogo il primo ad una selva di privilegi in favore di un’oligarchia dei forti a danno dei deboli e il secondo alla demagogia e infine alla dittatura?
Fu un socialista liberale Antonio Giolitti e per questo molto vicino a Bobbio e a Galante Garrone nel solco tracciato fin dagli anni Trenta dai fratelli Rosselli e poi ripreso da “Giustizia e Libertà “. La scelta di Giolitti di militare nel Pci fin dal 1943 derivò da una valutazione concreta poiché il Pci era allora il solo strumento dell’antifascismo combattente. La crisi d’Ungheria del 1956 lo rese però inutilizzabile per un uomo che aveva il culto della libertà . Questa è la storia e la testimonianza da lui lasciata e bene ha fatto Giuliano Amato a dedicargli una giornata di ricordo.
Giorgio Napolitano ha letto quel brano della lettera a Marta e ne ha raccomandato la rilettura agli attuali dirigenti della sinistra italiana affinché divengano più credibili e più concreti se vogliono proporsi come alternativa praticabile alla maggioranza attuale.
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I commenti alle sue parole sono stati numerosi. Nel Pd Bersani ha dichiarato che il partito da lui guidato sta appunto lavorando per accrescere credibilità  e concretezza al suo messaggio politico. Anche altri esponenti del partito hanno manifestato piena adesione all’invito di Napolitano secondo dialettiche di corrente che fanno parte della fisiologia dei partiti, anche se i partiti attuali somigliano più a gusci vuoti che a strumenti di comunicazione tra la società  e le istituzioni. Questo è e sarà  il vero tema per tutti, a sinistra, al centro e a destra: come rifondare i partiti in una società  “liquida” come quella attuale. 
Più interessanti le reazioni dei giornali che riflettono idee e interessi della classe dirigente, più somigliante all’italiano descritto da Guicciardini che a quello auspicato dai padri del nostro Risorgimento. Quei giornali, in univoco coro, hanno interpretato l’invito di Napolitano alla rilettura di Giolitti come una spinta a “normalizzare” i rapporti tra opposizione e maggioranza; a riconoscersi reciprocamente come legittime rappresentanze politiche e a collaborare alla stesura di programmi e regole condivise in discorde concordia.
Tutti i commentatori hanno ricordato che per avere una condotta di concordia discorde bisogna comunque essere in due ed hanno ricordato altresì che la maggioranza attuale ed il suo Capo non hanno finora dimostrato grande disponibilità . Ma quest’ammissione è stata appena sfiorata se non addirittura sottaciuta, ammessa a bocca stretta in un paio di righe, quasi a volersi liberare da un incomodo argomento. 
Il resto di quei testi si è dilungato sull’inguaribile rissosità  dell’opposizione, sulla sua intransigenza moralistica, sul suo rifiuto al compromesso possibile. Quanto ai giornali della “famiglia regnante” sono stati molto laudativi verso Napolitano e Giolitti, da loro in verità  interpretati assai liberamente.
Il consiglio unanime e quasi un verdetto da rispettare rivolto ai dirigente del Partito democratico è stato quello di allearsi con Casini lasciando perdere il demagogo Di Pietro, il vaniloquente Vendola e turandosi le orecchie per non ascoltare i giornali che vogliono etero-dirigere il Pd. Questa sembra essere la loro maggiore preoccupazione.
Poco tempo fa vari sondaggi registrarono l’umore degli elettori rispetto a possibili alleanze. Tra queste anche l’alleanza eventuale tra Pd e Terzo Polo. Il risultato era un consenso del 36 per cento, al quale Casini contribuiva con il 16 e il Pd con il 20. La sinistra restante registrava un consenso del 28-30 per cento reclutando quasi la metà  dell’elettorato potenziale del Pd.
I suggeritori dell’alleanza Pd-Terzo Polo puntano in realtà  sulla uscita dalla scena politica della sinistra e l’omologazione dei moderati in due schieramenti rispettivamente di destra e di centro. Berlusconi a stralcio, ma fino a che c’è va sopportato. La Chiesa sarebbe lieta e pronta a buoni uffici. 
Che ne dite di un’operazione di questa natura?
Aldo Moro, ai tempi suoi, tentò omologazioni di vario genere. Naturalmente aveva un altro spessore di visione politica e i tempi non erano quelli di oggi. Nel ’64 tentò di ammorbidire i socialisti e scritturò anche per la bisogna il generale De Lorenzo, autore del famoso “Piano Solo”. Nenni per molti giorni resistette all’ammorbidimento ma poi cedette, intimorito dal “rumore di sciabole”. La vera vittima politica fu Giolitti che dovette abbandonare il ministero della Programmazione. Con Giolitti il Psi non si era ammorbidito ma senza di lui diventò un biscotto inzuppato nell’acqua e facilmente masticabile.
Questa è la storia ed è bene non dimenticarsela.
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Nel frattempo il Cavaliere – tra un peccatuccio e l’altro – ha imbarcato altri nove sottosegretari. I loro nomi vanno ricordati, perciò eccoli: Rosso, Bellotti, Polidori, Melchiorre, Misiti, Cesario, Catone, Villari, Gentile. 
Si tratta d’un mercato di scambio avvenuto alla luce del sole: dettero il loro voto con la promessa d’un posto nel governo; hanno minacciato di riprendersi il voto se non fossero stati ripagati. Adesso lo sono e toccherà  ad altri seguirne l’esempio ed entrare a far parte d’una maggioranza cooptata o comprata.
Ha scritto sulla “Stampa” Massimo Gramellini: il vero tratto distintivo di questa casta di macchiette non è più nemmeno l’incompetenza. È la mancanza di vergogna. È esattamente così. Posso assicurare, avendolo conosciuto molto da vicino, che Antonio Giolitti se si fosse trovato di fronte ad un caso simile sarebbe uscito da qualunque partito e avrebbe abbandonato qualunque carica sbattendo la porta. Di gente come lui si è persa la matrice. 

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