La Grande Fuga dall’isola di Fidel

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Cominciò tutto come una favola, con un nome gentile: «Operazione Pedro Pan», Peter Pan, per portare 14 mila bambini dalla Cuba del 1960 alla Florida. Erano i figli della borghesia cubana terrorizzata dalle voci di deportazioni in massa dei figli nell’Europa dell’Est, appena un anno dopo la liberazione dal regime di Fulgencio Batista e dall’insediamento dei “barbudos” vincitori.

Fu un piccolo exodus organizzato e tranquillo, condotto sotto lo sguardo ironico e indifferente del nuovo regime castrista e accolto sotto le grandi ali delle organizzazioni cattoliche in Florida. Non molti, in quell’anno che ancora non aveva visto la tragicommedia dell’invasione mercenaria alla Baia dei Porci, il bloqueo, l’embargo vendicativo degli Stati Uniti impotenti, i tentativi di assassinio politico contro Fidel e poi il terrore nucleare dei Missili d’Ottobre, immaginarono che sulla scia di quella flottiglia singhiozzante di bambini sarebbe salpata, nel mezzo secolo che la avrebbe separata dal via libera ai viaggi dato in questi giorni da Raul Castro, una spedizione biblica di profughi, disperati, delinquenti, stupratori, neonati, vecchi, poeti, giocatori di baseball, ballerine, musicisti, madri, dissidenti che avrebbe risucchiato più di un milione di persone all’altro capo degli Stretti della Florida. Un milione di uomini e donne arrivati vivi, essendo impossibile contare quelli che raggiunsero il fondo dell’oceano e andarono a nutrire i tiburones che incrociano quelle acque.
La storia del grande esodo cubano, del primo esempio di “boat people”, è una vicenda che avrebbe non soltanto dissanguato Cuba, ma cambiato gli Stati Uniti. La celebrata “lobby cubana”, la comunità  ferocemente anticomunista e filorepubblicana insediata soprattutto a Miami e nelle contee della Florida, avrebbe per mezzo secolo influenzato la politica nazionale americana, ricattato con il proprio blocco di voti tutti i Presidenti, impedito la rimozione dell’ormai anacronistico e controproducente embargo e rivelato, nel singolare sistema elettorale Usa, tutta la propria rilevanza nelle elezioni presidenziali del 2000, quando fu proprio la Florida a decidere la vittoria di George W. Bush per 530 voti su Albert Gore.
Ma prima della politica, venne la saga di traversate al buio, nel nero di un braccio di mare dove, raccontò uno dei sopravvissuti, la signora Maydel Santana Bravo, l’oscurità  è così densa da permettere ai fuggiaschi di vedere a lungo le braci delle sigarette fumate dalle guardie cubane sulla spiaggia, e i mezzi di trasporto facevano sembrare i barconi dei profughi africani come lussuose navi da crociera. Battelli costruiti con camere d’aria di camion rappezzate e tenute insieme da tavole di balsa, natanti formati da bidoni vuoti di petrolio affidati alla corrente, barchini da pesca nei quali i bambini più piccoli dovevano essere legati all’albero o alle panche per impedire che le onde li lanciassero in mare.
Era la garanzia totale e incondizionata di accoglienza e di naturalizzazione, data da tutti i governi americani fino a Bill Clinton e al caso straziante del bambino Elian da lui restituito a forza ai cubani, a risucchiare il popolo dei “balseros”, dei navigati sulla balsa, attraverso i poco più di cento chilometri che separano le spiagge settentrionali dell’isola dalle prime isole delle Keys floridiane. In sintonia, e in polemica, con questa politica di accoglienza totale, il regime castrista apriva e chiudeva il rubinetto dell’emigrazione clandestina, come fu nella grande fuga dei detenuti e degli indesiderabili dal porto di Mariel. Dopo l’assalto all’ambasciata peruviana all’Havana, occupata da diecimila persone che chiedevano asilo, il governo cubano aprì le dighe e 125 mila persone s’imbarcarono nell’aprile del 1980 verso Key West. “Lumpen”, straccioni, “gusanos”, vermi, “escoria”, rifiuti, furono definiti dalla propaganda castrista e duemila fra di loro furono riconosciuti come indesiderabili dalla Migra, l’autorità  di immigrazione americana, e respinti. Una selezione approssimativa, che andò ad alimentare non soltanto le laboriose comunità  di esiliati, ma anche la feccia della criminalità  più feroce, narrata bene da Brian De Palma con Al Pacino in «Scarface».
Tra la folla che affrontò, a una media che la Guardia Costiera americana calcolava in 20 mila individui all’anno fino al blocco parziale ordinato da Washington negli anni ‘90 con la politica dei “piedi asciutti, piedi bagnati”, che accoglieva chi fosse stato ripescato dal mare, ma respingeva chi fosse intercettato in mare aperto a bordo delle imbarcazioni, la traversata degli Stretti vide non soltanto bambini e madri disperate. Tra coloro che approfittavano dei viaggi all’estero per fuggire secondo lo schema classico delle tournée internazionali del Bolshoi, del Circo di Mosca o delle squadre sportive sovietiche, ci furono quasi 100 giocatori di baseball destinati ai club professionistici, come il famoso, e famigerato, Josè Canseco, grande battitore travolto dallo scandalo degli anabolizzanti. Le squadre olimpiche della nazionale cubana, spesso decimate dopo i Giochi dalle diserzioni, sono state per anni considerate come “la primavera” dei club americani che trovavano modo di contattare i ragazzi migliori e di aiutarli a fuggire.
Se ne andarono scrittori come Carlos Franqui e Oscar Hijuelos, primo vincitore cubano di un Pulitzer per la fiction. Quattro futuri ambasciatori degli Stati Uniti. Attori popolari come Desi Arnaz, il coautore di «Lucy e io» con Lucille Ball, o Andy Garcia e il sinistro Charles «Bebe» Rebozo, complice di Richard Nixon nelle trame e nei finanziamenti illeciti del Watergate. Futuri manager di enorme successo nell’economia nordamericana come Ralph Alvarez, presidente della McDonald’s, Carlos Gutierrez, boss della Kelloggs, George Reyes, responsabile della gestione finanziaria di Google. Nella camera dei deputati, siedono oggi quattro deputati eletti nei collegi della Florida.
Fu più di un esodo umano. Fu un’emorragia di cervelli e di talenti in ogni campo di attività  umana, sportiva, intellettuale, economica che per mezzo secolo ha drenato Cuba di intelligenze e di abilità  che i cubani possiedono. La storia di un dramma politico e umano che raggiunse colori di tragedia nel buio degli Stretti, ma ha raccontato anche il successo di un’assimilazione che ha tanto giovato alla nazione che seppe assorbire quelle “scorie” umane. E neppure sempre e soltanto un romanzo ideologico, ma più spesso un umile bisogno di vita migliore. Raccontò al Miami Herald uno dei balseros ripescati dai cutter della Guardia Costiera dopo otto ore in mare aggrappato a una camera d’aria, di avere pianto di gioia sbarcando a Key West nel vedere «una grande colorata luminosa macchina per la distribuzione della Coca Cola». Trent’anni più tardi, Robert Gozueta, profugo, sarebbe diventato presidente della Coca Cola Company.


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