La Germania rinuncia al nucleare centrali chiuse entro il 2022

by Editore | 31 Maggio 2011 6:42

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BERLINO – E’ fatta. Per la prima volta una grande potenza industriale – la Germania, numero uno in Europa e quarta nel mondo – decide l’addio all’energia nucleare. Nel 2021, o nel 2022 al più tardi, i reattori saranno spenti per sempre nella Bundesrepublik.

La scommessa sulle rinnovabili verrà  accelerata, per non perdere competitività  ed efficienza sulla scena globale. La scelta è senza ritorno. «Vogliamo dare un esempio al mondo, saremo pionieri. E’ una sfida, ma nelle nuove fonti e tecnologie d’energia vedo grandi possibilità  per l’export e l’occupazione, e la nostra scelta vuole dare una speranza alle generazioni che verranno», ha detto la cancelliera Angela Merkel. Alle tre del mattino, dopo un lungo vertice alla cancelleria e negoziati con opposizione e sindacati per un consenso il più bipartisan possibile, era venuto l’annuncio della svolta. Il centrodestra tedesco, che fino a prima di Fukushima scommetteva su una vita più lunga delle centrali, ha tratto dalla tragedia giapponese le conclusioni più radicali. E ha raccolto i duri messaggi degli elettori, cioè le disfatte elettorali a catena di quest’anno con il volo dei Verdi.
«E’ una scelta senza ritorno», ha spiegato il ministro dell’Ambiente, Norbert Roettgen. Critiche e proteste del mondo economico, a cominciare ieri dai vertici di Daimler, e forti riserve dell’ala destra della Cdu, non hanno smosso la cancelliera. «E’ la vittoria del merkelismo», scrive l’autorevole Spiegel online, sottolineando la conferma della scelta di `Angie’ di spingere verso idee ecologiche e di centrosinistra.
Così funzionerà  l’addio tedesco al nucleare. Dei 17 reattori in servizio, 7 che erano stati spenti provvisoriamente dopo Fukushima per controlli di sicurezza o revisione, e un ottavo impianto da tempo difettoso, verranno disattivati a breve. L’ultimo reattore verrà  spento nel 2021 o 2022, ma con una vistosa eccezione: per emergenze, al bisogno, tre reattori potranno restare attivi o riattivabili (in standby) fino al 2022 al più tardi. Da allora, addio completo. Resterà  come riserva in standby solo una centrale per entrare in funzione solo in caso d’emergenza estrema come un inverno particolarmente freddo o un altro tipo di rischio di blackout.
La scelta della Germania «merkeliana» sarà  anche costosa. I calcoli più pessimisti parlano di costi totali fino a 40 miliardi di euro, cioè poco meno di metà  degli aiuti pubblici annuali all’ex Germania orientale e circa quattro volte i contributi tedeschi al bilancio Ue (40 per cento del totale) senza i quali l’Europa non sopravviverebbe. Ma è possibile farcela, dice il governo: urge accelerare investimenti, ricerche e agevolazioni alle energie rinnovabili. Le quali già  oggi forniscono alla prima economia europea una percentuale del fabbisogno energetico pari o leggermente superiore al 17 per cento fornito dalle centrali atomiche, a seconda dei calcoli. La Merkel mette fretta al sistema – Paese: tra il 2020 e il 2030 Berlino vuole arrivare a un 70-80 per cento di produzione con le rinnovabili. Per questo, Merkel contestata da industriali e ala destra del suo partito ha cercato in modo senza precedenti l’appoggio delle opposizioni di sinistra.
Le speranze di riuscire sono buone: ha l’appoggio della maggioranza dei cittadini. E da quando (nel 1998, con il governo Spd-Verdi) cominciò il lungo addio all’atomo, l’efficienza energetica dell’industria tedesca è aumentata del 48 per cento, mentre sui mercati globali il made in Germany distanziava di anni luce per competitività  i concorrenti di paesi come la Francia, votati al nucleare.

 

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