La doppia sconfitta di al Qaeda

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Il professor Renzo Guolo è docente di Sociologia dell’Islam all’Università  di Torino. Si occupa in particolare di movimenti fondamentalisti islamici e geopolitica del mondo musulmano. Su questi temi ha scritto numerosi saggi e innumerevoli articoli per giornali e riviste.

Certamente il quadro regionale è in movimento. Il fatto che Al Qaeda abbia subito questa duplice sconfitta, con le rivolte arabe e l’eliminazione della sua leadership storica, può dare all’amministrazione Obama una libertà  di movimento che solo fino a qualche mese fa era impensabile.

L’equazione ‘islam-terrorismo’ promossa dai teorici dello scontro di civiltà  durante l’era Bush, già  confutata dal fatto che i nuovi movimenti arabi chiedono libertà  e democrazia e non la creazione di uno Stato islamico, oggi viene definitivamente liberata da un’ipoteca.

Per l’amministrazione Obama sarà  ora più facile sostenere questi movimenti, che del resto hanno preso le mosse dal suo storico discorso del Cairo e dalla chiara scelta di non puntellare più gli autocrati arabi come aveva fatto invece Bush.

Anche se non bisogna sottovalutare la difficoltà  degli Usa di mantenere un atteggiamento univoco rispetto a questi movimenti quando entrano in ballo i loro interessi geostrategici: faccio il caso della Siria, che preoccupa molto sia Israele che Washington per il rischio di una reazione iraniana in virtù del patto di assistenza militare tra Damasco e Teheran.

Per quanto riguarda la guerra al terrorismo, la morte di bin Laden facilita per gli Stati Uniti il disimpegno dall’Afghanistan. Ma penso che la decapitazione della leadership formale di al Qaeda, già  da tempo struttura a rete decentrata, più che sminuire la giustificazione della lotta al terrorismo internazionale, in qualche modo la delocalizzi e la globalizzi ulteriormente.

 

Fuad Allam è docente di Scienze Politiche (Dipartimento di Scienze Politiche e Sociali) dell’Università  di Trieste, dal 1994 insegna nel medesimo Ateneo Sociologia del mondo musulmano e Storia e istituzioni dei paesi islamici, nonché Islamistica all’Università  di Urbino.

La sconfitta di al Qaeda è avvenuta prima della cosiddetta Primavera araba. In questi ultimi anni è cambiato tanto il blocco sociale sui quali si appoggiava questo gruppo terroristico. (Quelli di al Qaeda) hanno perso la base sociale e si sono trasformati in una serie di movimenti che definirei elitistici: mi ricordano un po’ gli anarchici russi di fine Ottocento/inizio Novecento, responsabili di attacchi terroristici ma marginali all’interno della società  russa. Questo è un primo punto: un secondo punto importante è il divario generazionale. La generazione di al Qaeda è quella degli attuali trentenni/quarantenni, i protagonisti della Primavera sono ventenni. Io, tornando ultimamente al Cairo e a Casablanca, ho visto che sono scomparsi slogan come “L’Islam è la soluzione”. Ma, attenzione, questo non significa la fine dell’islamismo.

Obama asseconderà  questo cambiamento? Ci troviamo davanti alla fine della politica estera americana basata sulla lotta al terrore?

La politica di Obama non è una politica frammentata. Il discorso che il presidente americano ha tenuto qualche giorno fa dopo l’uccisione di bin Laden, è in linea con il discorso che tenne al Cairo. Lui sa benissimo che l’Islam non è una questione americana, europea o asiatica: è una questione mondiale e fin dal Cairo si è mantenuto fedele alla stessa linea, così riassumibile: bisogna distinguere tra Islam come fede e Islam politico. La nostra lotta è contro le derive islamiche quando approdano all’eversione terroristica. Obama, attraverso questo riconoscimento, pone il problema della governance dell’Islam perché lui sa bene che questo ventunesimo secolo inizia con la questione dell’Islam che – e su questo Olivier Roy ha ragione – si definisce all’interno di uno spazio mondiale e non all’interno di frontiere chiuse. Serve un nuovo approccio davanti alla questione dell’Islam e per questo, probabilmente, gli Stati Uniti hanno qualche marcia in più rispetto all’Europa. Se si tratta di un superamento definitivo della vecchia politica americana, è difficile dirlo perché la storia è sempre piena di trappole e sorprese però mi sembra chiaro che Obama abbia inaugurato una nuova grammatica delle relazioni internazionali.

Olivier Roy e Campanini parlano di post-islamismo: io non sono d’accordo. Penso che si vada verso l’islamo-nazionalismo. Gli accordi firmati al Cairo due giorni fa mi confermano che c’é un’alleanza fra un’elite nazionalista composta da una generazione che non ha più niente da dire e le forze più strutturate che sono legate alle diverse forme di Islam politico. Questo lo vedo in Egitto, in Tunisia, nello Yemen, solo per fare pochi esempi. Però vedo anche due importanti novità : la prima è la nascita di un’opinione pubblica nel mondo arabo-islamico che ha la sua base nelle generazioni che hanno tra i 18 e i 30 anni. La seconda novità  è l’instaurarsi di una dialettica sulla questione dell’Islam all’interno delle istituzioni parlamentari: lì ci sarà  la mia parola contro la tua. Dovranno dibattere, far venire fuori la loro crisi. L’Islam vuole la shaaria o può farne a meno? Io questo dibattito l’ho visto nei movimenti associativi marocchini, che pongono il problema dell’autonomia della politica dalla religione. Questa è la questione centrale ribadita dalle rivoluzioni della Primavera araba.


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