by Editore | 20 Maggio 2011 5:29
Meglio la temeraria sfida di negoziare un reciproco riconoscimento lungo le frontiere del 1967 (opportunamente corrette) dell’attuale, astiosa paralisi: il riconoscimento di una reciproca impotenza che sta facendo scivolare tutta l’area verso il baratro. Nel discorso con il quale ieri ha ridefinito la sua politica mediorientale 23 mesi dopo il celebre messaggio all’Islam pronunciato al Cairo e a sei mesi dall’inizio delle rivolte contro i dittatori del mondo arabo, il presidente americano ha ammesso i rischi insiti nelle sfide che ha deciso di accettare: nel suo piano non ci sono più approdi sicuri né una vera road map. Solo la consapevolezza di dover fronteggiare situazioni molto diverse tra loro avendo a disposizione un’unica, possibile bussola: la difesa dei principi universali — libertà e diritti umani— ai quali si ispira l’America. «Abbiamo un’opportunità storica» , ha scandito Obama. «Dopo aver accettato in Medio Oriente il mondo com’è, abbiamo la possibilità di batterci per il mondo come dovrebbe essere» . E allora, pieno appoggio ai fermenti democratici che, partiti da Tunisia ed Egitto, scuotono ormai tutto il mondo arabo. Sostegno Usa (con tanto di piano di aiuti americani presto integrati da quelli del Fondo monetario internazionale e dei Paesi del G8 che si riuniranno tra una settimana in Francia) solo ai governi che progrediscono sulla via delle riforme. Dura condanna, invece, per chi usa la violenza per bloccare il cambiamento: non solo la Libia di Gheddafi e la Siria di Assad, appena colpita dalle sanzioni di Washington, ma anche lo Yemen e perfino il Bahrein, Paese alleato che ospita la Quinta Flotta Usa, quella che protegge la «via del petrolio» lungo il Golfo Persico e lo stretto di Hormuz. Silenzio sull’Arabia Saudita, ma è chiaro che il messaggio vale anche per il gigante petrolifero. Il presidente ha fatto solo un accenno all’eliminazione di Osama Bin Laden: un trofeo da esibire in Occidente, ma non nel mondo arabo dove la popolarità di Obama è già in calo. Consapevole del rischio di essere percepito dalle masse arabe come un nuovo Bush, il presidente più che sulle politiche per la sicurezza punta sui movimenti democratici che, dice, hanno sconfitto Al Qaeda sul piano ideale prima che fosse battuta su quello militare dagli incursori della Marina Usa. Discorso lungimirante o velleitario? Cominceremo a scoprirlo già oggi, con la visita del premier israeliano alla Casa Bianca. Certo, un cambio di regime comporta sempre il rischio di un vuoto di potere, la cosa che più spaventa chi fa politica. Ma Obama si è ormai convinto che l’America non può più colmare quello lasciato dalla caduta dell’impero ottomano e poi dalle amministrazioni inglesi e francesi fino al 1945, con l’egemonia fin qui esercitata sul mondo arabo accettando compromessi a raffica in nome della realpolitik.
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