by Editore | 17 Maggio 2011 6:11
Chi lo ha visto, chiuso per tutto il pomeriggio nel suo ufficio di via Bellerio, circondato dallo stato generale della Lega al gran completo, Roberto Maroni escluso (rimasto a Roma al Viminale a controllare che la macchina elettorale non si inceppasse), ne descrive l’umore come «grigio, tendente al nero». «Stupito dai risultati e irritato per gli stessi», cerca di edulcorare il senso della giornata qualcuno. Qualche altro, più prosaicamente, la dice tutta: «Ha i coglioni girati». Ha picchiato più e più volte i pugni sulla scrivania il Senatur. Questa volta non a sottolineare, come suo solito, felicità o incitamento verso i suoi. L’incazzatura del leader del Carroccio è evidente. Un sigaro dietro l’altro, Umberto Bossi è rimasto rintanato nelle private stanze padane fino a tarda sera. Mentre scriviamo, ancora non si sa se parlerà lui ai giornalisti, o se molto più probabilmente farà parlare qualcun altro, forse il capogruppo a Montecitorio Marco Reguzzoni. Il nervosismo, in casa Lega, si è iniziato a respirare a metà pomeriggio. Mentre i dati di Milano, implacabili, raccontavano di un Giuliano Pisapia prima impegnato in un testa a testa con Letizia Moratti, poi in leggero vantaggio, infine ad allungare sulla sfidante, le promesse dichiarazioni alla stampa degli esponenti del Carroccio ritardavano. Prima di mezzora, poi di un’ora, per poi venire annullate. «No comment». Duro il lavoro degli addetti stampa, in giornate così. Poi qualche soffiata: «Mi avevano detto che la Lega avrebbe aiutato il Pdl a vincere, e per questo ho accettato di allearmi con i berlusconiani – avrebbe detto Bossi – avessi saputo prima cosa mi aspettava a Milano, forse avrei deciso di andare da solo, con un candidato nostro, visto che dove lo abbiamo fatto, come a Rho, Desio e Gallarate, siamo sicuri di andare al ballottaggio. Anche a Milano sarebbe potuta andare così». In pratica, per il Senatur, è finito il tempo in cui il Pdl vinceva grazie alla Lega. Ora, «la Lega perde per colpa del Pdl». Partita la bordata. In effetti dove il Carroccio corre da solo, e anzi in contrapposizione col Pdl, i risultati sono arrivati. Lo aveva detto già Bossi: «A Milano Berlusconi ha deciso di fare un referendum sulla sua persona, se perde perde lui». Adesso che l’inimmaginabile, o il difficilmente immaginabile, si è materializzato, la Lega farà le sue considerazioni. E potrebbero essere destinate a sconvolgere quell’asse che, nel centrodestra, ha permesso a Silvio Berlusconi di restare al timone del paese negli ultimi quindici anni. Perché, al di là dell’ottimismo di Matteo Salvini («siamo in svantaggio alla fine del primo tempo, ma c’è il secondo tempo da giocare»), i giochi potrebbero essere ormai definiti. Così come da vicesindaco in pectore lo stesso Salvini rischia ora anche il posto da consigliere comunale. Perché i dati parlano di una Lega intorno al nove per cento. Visto che l’asticella messa da Bossi per considerare decente il risultato era ripetere l’exploit di un anno fa alle regionali, intorno al 14%, come il leader leghista valuti il voto di Milano è facilmente intuibile. Nel suo piccolo Fabrizio Cecchetti, candidato leghista a Rho, dove andrà al ballottaggio contro il candidato del Pd, fa capire cosa potrebbe riservare la Lega in futuro: «Chiederemo agli elettori del centrodestra di votarci, ma niente apparentamenti con chi si occupa solo di giochi di potere». Parole che parlano di una realtà piccola e particolare, ma che potrebbe diventare la linea bossiana. Berlusconi è avvisato: o darà ancor più di ora alla Lega ciò che vuole, o il suo tramonto sembra essere alle porte.
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