La Cia apre la caccia a Zawahiri “Pronti attentati a dighe e acquedotti”

by Editore | 7 Maggio 2011 7:52

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Quanto tempo resta ad Ayman Al Zawahiri, l’uomo cui Al Qaeda dovrebbe consegnare il bastone del comando? E che cosa arriverà  prima? Un secondo strike dei Seals, o la vendetta promessa dai qaedisti, con un “nuovo 11 settembre” che, di qui a quattro mesi, nei suoi plot – riferiscono ora fonti di intelligence al lavoro sull’archivio dell’organizzazione recuperato nel blitz di domenica scorsa ad Abbottabad – contemplava non solo il deragliamento di treni passeggeri, ma anche la distruzione di dighe, l’avvelenamento degli acquedotti, nuovi attentati al trasporto aereo e alle metropolitane?
Da cinque giorni ormai, sepolti in un ufficio di Langley, una trentina di analisti della Cia non distinguono più il giorno dalla notte. L’Agenzia ha una fretta indiavolata. Lotta con il tempo per decrittare il contenuto di un moloch informatico che custodisce la storia e i segreti di 10 anni di Al Qaeda. Si tratta di “craccare” i codici che proteggono la spaventosa mole di file (2,7 terabyte, 2700 miliardi di byte) contenuti nei cinque personal computer, 10 hard disk, cento pen-drive prelevati nel compound di Abbottabad e tradurne il contenuto dalla lingua araba. Di compulsare le centinaia di fogli manoscritti che in quella stessa casa sono stati trovati, comparandone la grafia con quella di documenti attribuibili con certezza all’uomo – Osama – che dell’archivio di Abbotabad si ritiene l’autore.
«Questo archivio – spiega una fonte dell’intelligence americana a “Repubblica” – è un tesoro soltanto se lo si riesce a sfruttare subito. Tecnicamente la chiamiamo “actionable” intelligence. È l’informazione che ti consente di avere un risultato operativo immediato». È il “lead”, la traccia, che porta ai prossimi bersagli. O, appunto, che può sterilizzare un piano di attacco. Negli Stati Uniti, evidentemente. Ma non solo. Anche in Europa o nel Pakistan “traditore.
Dei primi risultati stanno arrivando. Decine di utenze satellitari e cellulari (due, le più importanti, Osama le aveva cucite nella veste che indossava al momento della morte) utilizzate dall’organizzazione e trovate nell’archivio sono state già  trasmesse alla “National Security Agency”, lo spionaggio elettronico statunitense, per illuminare altrettanti bersagli, qualora decidessero di tornare a usare quei telefoni ormai «bruciati». E’ stata acquisita la localizzazione di un imprecisato numero di rifugi utilizzati da Al Qaeda in giro per il mondo. Mentre dal primo esame dei manoscritti, insieme al plot per “un nuovo 11 settembre” che doveva colpire il sistema ferroviario statunitense, emerge ora, appunto, che l’organizzazione aveva lavorato a immaginare “spettacolari” progetti di distruzione di dighe, avvelenamento di acquedotti, attentati al trasporto aereo, stragi nelle metropolitane di grandi città  americane come New York, Los Angeles, Chicago. 
L’esame compiuto dei file dirà  quanta parte del lavoro istruito dalla fantasia malata di Osama e del suo sinedrio del Terrore avesse raggiunto o meno una fase di avanzamento concreto. Diverso il discorso su quali e quante tracce sin qui estratte dall’archivio siano utili alla localizzazione del resto della leadership di Al Qaeda. Su questo punto, infatti, le indiscrezioni si fanno fioche fino a spegnersi. Con una sola ammissione. Che è indubbiamente su Al Zawahiri che la Cia sta ora concentrando il suo sforzo. La conferma, del resto, arriva dal Congresso americano. Da una voce autorevole, come quella di Mike Rogers, presidente dell’Intelligence Committee (il comitato che viene regolarmente aggiornato, in seduta segreta, non solo su operazioni concluse, ma anche in corso). Dice Rogers: «Non posso dire che la cattura di Al Zawahiri sia imminente. Ma posso dire che il ferro è caldo. Che di qui ai prossimi mesi le tracce raccolte aiuteranno nella lotta al Terrore. I leader di Al Qaeda dovrebbero essere preoccupati. Il governo americano gli è addosso».
Quanto gli è addosso? Almeno tre circostanze – è storia di ieri – danno la misura della pressione che sulla leadership dell’organizzazione viene esercitata in queste ore. La monarchia saudita ha confermato che nei giorni immediatamente successivi il blitz di Abbotabad si è consegnato alle unità  antiterrorismo Khaled Hathal al-Qahtani, 32 anni, uno degli uomini in cima alla sua lista dei ricercati da Riad, per altro già  nell’elenco dei 13 latitanti di maggior spicco dell’Interpol. Di più: alla fine di marzo, appena un mese prima del raid di domenica scorsa, proprio ad Abbotabad, dove doveva incontrare Osama, è stato arrestato (ma la notizia viene confermata soltanto ora) Umar Patek, capo storico della ormai sbandata “Jemaah Islamiyah”, braccio assassino di Al Qaeda in Indonesia negli anni immediatamente successivi l’11 settembre, quando firmò, a Bali, la strage delle discoteche (202 morti nel 2002).
C’è infine la terza e forse più importante circostanza. Per il luogo in cui è avvenuta, per il “timing”, per il significato che assume. Ieri, un “drone” della Cia, un aereo senza pilota, ha colpito con i suoi missili una casa nel Waziristan, regione nel nord-ovest del Pakistan, uccidendo diciassette uomini. L’operazione, nel confermare la volontà  americana di non sospendere in alcun modo le sue «attività  antiterrorismo» in territorio pakistano, dimostra che le operazioni figlie del blitz di domenica scorsa ad Abbotabad sono in pieno e imprevedibile svolgimento. Che il “ferro”, per usare le parole del presidente dell’Intelligence Committee del Congresso, è davvero “caldo”. E che Casa Bianca e Cia non smetteranno di batterlo. «Anche perché – chiosa una fonte di intelligence Usa – continuare a colpire in questo momento significa aumentare il senso di disorientamento di Al Qaeda. Farle il più possibile terra bruciata intorno. Mettere l’organizzazione nelle condizioni di non poter ripristinare quelli che sono stati i suoi sicuri canali di comunicazione per un decennio. E così ridurne sensibilmente anche la capacità  di risposta».

 

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