La bonaccia delle Antille
Vanno in votazione solo i decreti legge, com’è successo ieri; altrimenti scadono, e dopo sono guai. Ma la riforma dello Stato? Non ve n’è traccia, al pari della soppressione delle Province, del bicameralismo prossimo venturo, del premierato, per non parlare poi della legge elettorale. E il nuovo articolo 41, che a giudizio del governo libererà da vincoli e laccioli la nostra economia? La Camera l’ha messo in calendario a giugno, sempre che la commissione abbia concluso i suoi lavori. Vatti a fidare, quando in Senato 22 disegni di legge attendono da mesi che la commissione Bilancio esprima il suo parere, mentre altri 7 sono orfani della relazione tecnica da parte della Ragioneria generale. Un caso per tutti: le norme contro la corruzione. Scritte e pure emendate, ma per 230 giorni chiuse a chiave nei cassetti della commissione, in attesa di responso. Evidentemente i politici italiani sono più pensosi di Diogene dentro la sua botte. E la giustizia? Un’emergenza a corrente alternata. Perché dopo gli annunci, i dibattiti, gli appelli, ha avuto il sopravvento questa lunga pausa elettorale. E dunque stop alla riforma costituzionale, stop alla legge sulle intercettazioni, al processo breve, alla prescrizione fulminante. Stop anche ai temi etici: la legge sull’omofobia è su un binario morto, quella sul testamento biologico va alle calende greche, grazie a un rinvio bipartisan benedetto sia a destra che a sinistra. Già che ci siamo, stop all’elezione del quindicesimo giudice che ormai da un mese manca alla Consulta. E la verifica sul governo reclamata da Napolitano? In pausa pure quella. Se ne parlerà dopo i ballottaggi, e sempre che la vigilia dei referendum non consigli un’altra pausa. Durante quella breve intermittenza, forse la Camera troverà anche il tempo di discutere la mozione Gnecchi sulla riforma pensionistica, in calendario a giugno. Però con calma, senza fretta. D’altronde quest’anno l’aula del Senato ha lavorato per 176 ore, quella di Montecitorio ha dedicato 143 ore appena all’attività legislativa. Ma nessuna democrazia al mondo può correre con un Parlamento zoppo. Le istituzioni rappresentative assolvono a una duplice funzione: riflettere e deliberare. Invece queste Camere immerse in una perenne campagna elettorale non sanno fare né l’uno né l’altro mestiere. Non riflettono l’energia che nonostante tutto accende i nostri giovani, i ceti produttivi, i lavoratori al servizio dello Stato. Non decidono più nulla, perché i politici italiani hanno ormai paura dei propri elettori. D’altronde si sa come vanno queste cose: tu scrivi una legge che parrebbe dettata da Minerva, poi c’è sempre qualcuno che spara a palle incatenate. Sarà anche vero, ma non è affatto una buona ragione per starsene inchiodati al palo.
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