by Editore | 20 Maggio 2011 6:47
BEIRUT – L’Oracolo ha parlato. Ma quello che il presidente americano ha detto nel suo “major speech” a proposito del conflitto che oppone da 63 anni israeliani e palestinesi, non soddisfa né gli uni né gli altri. In misura diversa, ovviamente. Perché quello che spinge il presidente palestinese, Mahmud Abbas ad «apprezzare» il discorso – e cioè l’affermazione, inedita sulla bocca di un presidente Usa, secondo cui «i confini devono essere basati sulle linee del ‘67» – è esattamente quello che ha fatto infuriare Netanyahu. Quei confini sono «indifendibili», ha ribattuto il premier israeliano ai piedi della scaletta dell’aereo che lo porterà a Washington per l’ennesimo “chiarimento” tra i due super-alleati.
Barack Obama ha dunque fatto il gran passo, avallando la posizione dei palestinesi sulla spinosa questione dei confini. Questione chiave perché da lì discende la forma geografica e politica del futuro Stato palestinese. «Uno Stato – hanno sempre ripetuto a Ramallah – praticabile, entro i confini del ‘67 e con capitale Gerusalemme». Ora Obama di Gerusalemme non ha parlato, ma sui confini s’è sbilanciato, indicando chiaramente come base della trattativa «le linee del ‘67», quelle cioè che erano state stabilite nell’accordo di cessate-il-fuoco che pose fine alla guerra del 1947-‘48 e che furono travolte dalla guerra del ‘67 e dalla successiva occupazione israeliana.
Non è che Obama abbia intimato a Israele di ritirarsi: per facilitare l’accordo sui confini ha ipotizzato persino uno scambio di territori «reciprocamente concordato», qualcosa su cui il predecessore di Netanyahu, Ehud Olmert, aveva a lungo discusso con i palestinesi. Ma a Netanyahu le parole di Obama devono essere sembrate quantomeno stonate, perché quello che il premier israeliano s’aspetta è che Obama ribadisca l’impegno sottoscritto da George W. Bush in una lettera all’allora primo ministro Ariel Sharon, in cui gli Stati Uniti riconoscono i cambiamenti di fatto occorsi nei Territori occupati e, di conseguenza, il diritto d’Israele ad annettersi i grandi insediamenti.
Tutto questo suona in maniera profondamente diversa alle orecchie dei palestinesi. Ed infatti, Mahmud Abbas ha subito voluto esprimere apprezzamento, impegnandosi a convocare una riunione d’emergenza con non meglio precisate «parti arabe» e «palestinesi» (Hamas?) per discutere la novità . Poi, però a mente fredda, il ministro Nabil Shaat ha detto che non ci sono tracce concrete per far ripartire il negoziato e, soprattutto, che non si capisce, come Obama non chieda a Israele almeno il congelamento degli insediamenti. Ancora più netta la reazione di Hamas: «Un discorso schierato dalla parte d’Israele, non accettiamo la richiesta di riconoscere quello che Obama ha definito “Stato ebraico”».
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