Iran, la rivoluzione divisa
La stampa iraniana, controllata dal regime, ha minimizzato subito sottolineando come il presidente sia illeso e ritenendo responsabile dell’accaduto un petardo. Proprio così, un petardo. Spiegazione per lo meno originale. Secondo Debkafile, sito vicino al Mossad (l’intelligence israeliana) non si è trattato di un incidente, ma di un attentato.
Citando fonti locali, Debka sottolinea che il contesto è davvero rovente. In primis Abadan è nel cuore della regione iraniana meno ‘persiana’. Al confine con l’Iraq, la città è una di quelle attraversata dalle tensioni tra gli arabi sunniti e il governo centrale, sciita e persiano-centrico. Il gruppo armato di riferimento degli arabi sunniti, Jundallah, già in passato si è reso protagonista di attacchi al governo. Per l’intelligence israeliana il meccanismo era stato più volte testato in precedenza proprio per evitare malfunzionamenti al momento dell’inaugurazione. L’incidente è quindi per lo meno strano.
Debka non si limita all’ipotesi sunnita. Secondo il sito, infatti, dietro il presunto attentato ci potrebbe essere la stessa ‘agenzia straniera clandestina’ responsabile di aver diffuso il virus informatico Stuxnet, che lo scorso anno ha mandato in tilt i sistemi telematici iraniani. Ma non basta. Una terza ipotesi, forse la più incandescente, è quella che l’episodio sia legato alla tensione tra il presidente Ahmadinejad e la Guida Suprema Alì Khamenei, che ormai non è più un mistero per nessuno. I Pasdaran, organizzazione politico militare, vera spina dorsale della Repubblica Islamica, non hanno gradito affatto la mossa di Ahmadinejad di avocare a se stesso l’interim del ministero del Petrolio. Settore strategico, vitale, per gli interessi del Paese. Soprattutto quelli economici, nei quali i Pasdaran sono coinvolti in modo massiccio.
I Pasdaran hanno condannato in modo ufficiale la decisione di Ahmadinejad di licenziare il vecchio ministro, scavalcando le prerogative del Parlamento. Lo stesso è accaduto con il ministro dell’Intelligence, Heidar Moslehi, fedelissimo di Khamenei, licenziato da Ahmadinejad e reintegrato dalla Guida. Le stesse manifestazioni dell’ultimo periodo in Iran – che vedono un arretramento dell’Onda Verde che ha caratterizzato le proteste del 2009 e 2010 – sono sembrate più un confronto tra la Guida e il presidente che una lotta contro il regime.
Tre siti vicini ad Ahmadinejad, ieri, sono stati oscurati. Uno dei più stretti collaboratori del Presidente, Esfandiar Rahim-Mashaei, consuocero di Ahmadinejad, capo dello staff presidenziale e ministro degli Esteri ombra, è finito nel mirino dei fedelissimi di Khamenei. Con accuse di stregoneria. La questione è delicata e investe il messianesimo che caratterizza l’entourage di Ahmadinejad, sempre più convinto dell’avvento del dodicesimo imam (colui che libererà gli sciiti dal giogo millenario seguito alla scissione dopo la morte del Profeta), al punto da fare scelte ritenute folli dagli ortodossi.
Uno dei momenti – teoretici – di rottura tra i due gruppi è l’internazionalismo sciita. Una visione che, dopo la morte di Khomeini e la guerra con l’Iraq, venne messa da parte proprio dalla gestione della Guida Suprema Alì Khamenei. Ahmadinejad, fin dalla sua prima elezione nel 2004, ha dato vita a una fitta rete di appoggi internazionali che portano l’Iran a sostenere gli sciiti in Yemen, Bahrein, Arabia Saudita e altrove. Per l’entourage della Guida, un rischio molto alto.
L’ultimo attentato noto contro Ahmadinejad risale al 24 agosto 2010, quando un’esplosione è avvenuta al passaggio di un convoglio su cui viaggiava il presidente a Hamadan. Secondo la versione ufficiale, l’esplosione è stata causata da un semplice petardo. Ancora uno. Se continua così, in Iran, sono in arrivo fuochi d’artificio.
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