by Editore | 17 Maggio 2011 6:56
BRUXELLES – Mario Draghi non poteva trovare un momento più difficile per prendere il timone della Banca centrale europea. Crisi dei debiti sovrani, inflazione che ricomincia a salire, divergenze nella crescita delle economie dell’eurozona, divisioni tra i governi sulle strategie da adottare, debolezza di molte banche sono problemi che si incrociano e si alimentano l’un l’altro mettendo per la prima volta seriamente in questione la sopravvivenza stessa della moneta unica. E nell’affrontare questa «tempesta perfetta», il primo presidente italiano della Bce dovrà muoversi in modo da affermare al di là di ogni dubbio la propria autorevolezza e credibilità nei confronti dei governi, e in particolare nei confronti della Germania, che ha subìto la sua nomina per l’impossibilità di trovare un candidato alla sua altezza.
Su tutti questi temi la posizione di Draghi, che da anni siede nel Consiglio direttivo della Banca Centrale in quanto governatore della Banca d’Italia, non è sostanzialmente diversa da quella finora tenuta dall’Istituto di Francoforte. Ma a novembre, quando assumerà le sue nuove funzioni, potrebbe trovarsi di fronte a nuovi sviluppi che richiederanno scelte difficili. Sulla questione dei debiti sovrani, per esempio, si sa che la linea delle banche centrali è quella di evitare a qualsiasi costo un default di uno stato membro della zona euro e una conseguente ristrutturazione del debito. Ma la decisione finale in materia non spetta a Francoforte. E Draghi potrebbe trovarsi a fronteggiare una insolvenza della Grecia con il problema di prevenire l’inevitabile reazione a catena sui debiti degli altri Paesi a rischio. Se pure lo scenario peggiore di questa «tempesta perfetta» che si profila all’orizzonte non dovesse concretizzarsi, il futuro presidente della Bce dovrà comunque confrontarsi duramente con alcuni governi su temi cruciali per il futuro della moneta unica.
Il primo, e più pressante, sarà l’acquisto sui mercati dei bond dei Paesi in difficoltà . Già da governatore della Banca d’Italia, Draghi ha espresso le sue perplessità sui pericoli di questo tipo di operazione a cui la Bce è stata costretta per difendere Grecia, Irlanda, Spagna e Portogallo. Ma il suo predecessore, Trichet, che certo condivide questi timori, non è riuscito a ottenere che il compito di acquistare titoli di debito in sofferenza venisse trasferito al Fondo salva stati. Il compito di continuare il braccio di ferro con i governi passerà ora all’italiano.
C’è poi la questione spinosissima della capitalizzazione degli istituti bancari. Gli stress test condotti in questi mesi dall’Eba, la nuova authority bancaria europea, guidata da un altro italiano, Andrea Enria, dimostreranno la necessità di una forte ricapitalizzazione per le banche di alcuni Paesi, e in particolare per quelle tedesche. E toccherà alla Bce fare pressione sui governi perché fissino standard più elevati e perché intervengano, se necessario, mettendo i soldi che occorrono alle ricapitalizzazioni. A questo ruolo, il capo della Banca centrale sarà chiamato anche in qualità di presidente del nuovo Comitato europeo di vigilanza sui rischi sistemici (ESRB), da poco istituito a seguito della crisi bancaria del 2009 proprio per affidare a Francoforte il compito di monitorare e di prevenire il formarsi e il degenerare di nuove bolle speculative sui mercati. Si tratta di una poltrona che di fatto trasforma il presidente della Bce in un interlocutore «politico» dei governi nazionali. E Draghi che fino ad oggi è stato alla guida del Financial Stability Forum, ha certo le carte per ricoprire il nuovo ruolo con la massima autorevolezza.
Meno controversa dovrebbe essere la strategia di contenimento dell’inflazione: una materia su cui la Bce, negli oltre dieci anni della sua esistenza, ha messo a punto una seria di tecniche sufficientemente raffinate e consolidate. Ma proprio in questo settore, il nuovo presidente della Banca centrale europea non potrà continuare ad ignorare un altro elemento preoccupante che rischia di minare dall’interno l’Unione monetaria: la crescente divergenza nei cicli economici dell’Eurozona. In una Europa in cui metà dei Paesi cresce a ritmo abbastanza sostenuto e l’altra metà stenta ad uscire dalla recessione, la manovra sui tassi diventa un esercizio complesso, con il rischio di incrementare le divergenze. Anche su questo fronte, dunque, il prossimo presidente della Bce sarà chiamato a fare scelte difficili, e possibilmente innovative.
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